Strage di Lampedusa, i sopravvissuti accusati di immigrazione clandestina

Prima un giorno di lutto nazionale per i morti, e subito dopo l’iscrizione a registro degli indagati per i sopravvissuti con l’accusa di immigrazione clandestina. E’ un misto di ipocrisia e schizofrenia quella che circonda l’ultima tragedia di Lampedusa. L’ipocrisia dei politici che vengono sull’isola a manifestare la solidarietà del governo e che magari candidano anche quest’ultimo lembo d’Italia prima dell’Africa a premio Nobel per la pace, ma che allo stesso tempo difendono a spada tratta la legge sull’immigrazione, la stessa che, se non sei morto, adesso ti incrimina e può arrivare a sanzionarti con una multa fino 5.000 euro. 

Che è proprio quello che prevede la Bossi-Fini.


Diciamolo subito: la decisione di iscrivere sul registro degli indagati i nomi di quasi tutti i 155 sopravvissuti al naufragio di giovedì – si salvano sono i minori – non dipende dalla procura di Agrigento che ha solo fatto quello che la legge gli impone di fare. «E’ un atto dovuto, non potevamo fare altrimenti», spiega il procuratore capo Renato Di Natale che continua a interrogare i sopravvissuti alla ricerca di testimonianze contro lo scafista, un tunisino arrestato poche ore dopo il naufragio. «Stiamo facendo riscontri testimoniali ma le cose sono un po’ più difficili perché sono indagati», prosegue il procuratore.

Secondo il racconto fatto dai migranti, potrebbero essere 360 le vittime del naufragio, e la maggioranza di esse sarebbero donne. Il calcolo è stato fatto dagli stessi africani, che ad alcuni deputati hanno raccontato di aver contato il numero dei pulmini che al momento della partenza li hanno condotti a Misurata. Se così fosse, questo vorrebbe dire che a bordo dell’imbarcazione, che si trova a oltre 40 metri sotto il mare, si troverebbero ancora 252 corpi.

Lampedusa intanto ricorda le prime vittime della tragedia, quelle i cui corpi sono stati recuperati con una cerimonia che si è tenuta nell’hangar dell’aeroporto dell’isola trasformato in obitorio e alla quale ha partecipato anche il presidente della Camera Laura Boldrini. Sul pavimento 111 bare allineate, ognuna con un fiore sopra. In prima fila, quattro piccole bare bianche. Su ogni bara c’è un numero, e a ogni numero corrisponde un volto. Servirà un domani per un’eventuale identificazione.

Dal punto di vista delle indagini, invece, la procura ha smentito l’apertura di un fascicolo per i presunti ritardi nei soccorsi. Ma le polemiche su quanto accaduto nelle prime ore di giovedì non finiscono. Dopo le accuse ai pescatori (alcuni immigrati hanno parlato di tre pescherecci che si sarebbero allontanati dal barcone già in fiamme), ieri sono stati alcuni dei soccorritori a puntare il dito. Questa volta contro la Capitaneria di porto. «Noi cercavamo con tutte le forze di tirare su quanta gente possibile. Invece sulla motovedetta della Capitaneria c’era gente che pensava a fare fotografie e video» ha raccontato Vito Fiorino, che la notte del naufragio dormiva in rada a bordo della sua barca, la «Gamar». E’ stato lui il primo a sentire le urla disperate degli immigrati che stavano affondando. Fiorino conferma anche quanto raccontato nei giorni scorsi da un turista. «Noi portavamo su i profughi quattro alla volta, poi quando la mia barca era troppo piena e rischiava di affondare abbiamo chiesto alla capitaneria di farli trasbordare e continuare con il salvataggio. Invece ci hanno detto che non potevano perché doveva aspettare il protocollo. Incredibile».
La polemica riguarda anche il tempismo con cui la Capitaneria di porto sarebbe intervenuta. Fiorino dice infatti di aver dato l’ordine di chiamare la Guardia costiera al massimo alle 6,40 e la prima motovedetta sarebbe arrivata alle 7,30, quasi un’ora dopo. Una versione smentita ieri da un comunicato della Capitaneria, secondo la quale le operazioni di soccorso sarebbero scattate subito dopo aver ricevuto l’allarme, intorno alle 7 del mattino, e una volta sul posto le motovedette «hanno a loro volta imbarcato quante più persone possibili».

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