Poco spazio in cella? Basta tenere aperta la porta
Evadere da quei 3 claustrofobici metri quadrati a disposizione e riguadagnare spazio e dignità sottratti. Non si tratta di un’azione illegale, ma di un diritto finalmente riconosciuto.
È l’ordinanza 2013/1324, datata 16 maggio 2013, del Tribunale di Sorveglianza di Lecce, che dispone il trasferimento di un detenuto nel carcere di Borgo San Nicola “in una cella adeguata alla normativa vigente”. Nulla di più e nulla di meno che nel rispetto della legge.
Eppure, è la prima volta che accade in Italia: un giudice ordina all’amministrazione penitenziaria di mettere a disposizione del detenuto le condizioni previste dai regolamenti. E lo fa con un’ordinanza che – secondo una recente sentenza della Corte costituzionale – ha effetto coercitivo. In buona sostanza, se l’amministrazione del carcere non dovesse eseguirla nell’immediato, commetterebbe un reato…
Il provvedimento, qualora divenisse esempio per altri detenuti e per altre realtà, potrebbe avere l’effetto di un macigno sulla situazione ormai disperata delle carceri italiane. Tassi di sovraffollamento altissimi e frequenti suicidi, infatti, hanno reso tristemente famosi in tutta Europa i penitenziari di casa nostra.
“Ma è da qui che bisogna ripartire”, ha commentato l’avvocato Alessandro Stomeo, difensore del detenuto leccese. “La soluzione del problema non si trovava nel divieto di tortura o nell’articolo 27 della Costituzione. Esistono, molto semplicemente, delle norme interne: l’articolo 6 dell’ordinamento penitenziario e il decreto ministeriale del 5 luglio del 1975 prevedono delle misure minime per le strutture che ospitano il detenuto”, osserva Stomeo.
Misure che, nella fattispecie, il carcere leccese non rispetta. La ASL di Lecce, incaricata dal magistrato di sorveglianza per controllare i requisiti della cella in questione, ha notificato che “la superficie pavimentata della cella è di 10,17 metri quadrati, che vi è sufficiente aeroilluminazione naturale, che all’interno della cella vi è un servizio igienico di 1 metro quadrato con lavabo, vaso e bidet con aerazione forzata al momento dell’accertamento malfunzionante; che la cella presenta chiazze di muffa in prossimità delle finestre, presumibilmente dovute ad infiltrazioni d’acqua, che i letti sono a castello e l’ultimo è a 50 centimetri dal soffitto”.
Ogni cella del carcere di Lecce – nonostante il progetto ne prevedesse un uso individuale – ospita tre persone. Ogni individuo dispone di uno spazio calpestabile pari a circa 3 metri quadrati: se non è una tortura, è qualcosa di molto simile. Nella casa circondariale di Borgo San Nicola, attualmente, ci sono circa 1150 detenuti, ma dovrebbero essere solo 659. In linea con i numeri nazionali: il rapporto Antigone del 2012 parlava di un tasso di affollamento del 142,5%, a fronte del 99,6% della media europea.
E se svuotare le carceri in tempi brevi è pura utopia, quali potrebbero essere le soluzioni possibili? Escludendo la realizzazione di nuove strutture – operazione che contribuirebbe solo a ingrandire il problema – lasciare aperte le porte delle celle durante il giorno, permettendo così ai reclusi di usufruire anche dello spazio dei corridoi interni, rappresenta di fatto un escamotage. Tecnicamente, si chiama “vigilanza dinamica” e alcune sezioni detentive italiane la stanno già sperimentando. Tuttavia, anche questo sistema avrebbe i suoi rischi. Se così fosse, infatti, potrebbe insorgere la polizia penitenziaria, costretta già in molti casi a lavorare con un’organico ridotto e con misure di sicurezza al limite. Insomma, una questione complicata da risolvere; almeno nell’immediato.
L’Europa, d’altra parte, ci chiede trasparenza: dal settembre del 2012 il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa è in attesa dei dati dettagliati sul sovraffollamento dei penitenziari italiani. Lo stesso Comitato che, all’inizio del mese di giugno, ha preso in esame la prima condanna pronunciata nel 2009 contro l’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la violazione dei diritti dei detenuti. Strasburgo richiede concretezza: l’Italia ha un anno di tempo per presentare le contromisure al problema del sovraffollamento e, su questo piano, il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Lecce sembra solo un valido motivo in più per decidere e per far presto.
FONTE: Informare per Resistere, Art. di Andrea Gabellone