Archive for Maggio, 2013

Barcellona: scontri tra pompieri e polizia [+ link video]

mercoledì, Maggio 29th, 2013

Oggi circa 500 vigili del fuoco hanno energicamente protestato davanti alla sede del Parlament di Barcellona contro gli ormai cronici buchi nell’organico e per la mancanza di risorse che il governo regionale ha destinato alla campagna estiva contro gli incendi. Cariche, scontri e un arresto.

La protesta dei pompieri catalani, molti dei quali indossavano caschi e divise, è iniziata sotto la sede del ‘ministero’ della Sicurezza ed è arrivata fin sotto il portone del parlamento regionale di Barcellona, dove la tensione è
presto aumentata fino a che le unità antisommossa dei Mossos d’Esquadra hanno caricato i vigili del fuoco che però hanno resistito. I manifestanti avevano acceso un gran falò a pochi metri dalla sede istituzionale ed hanno lanciato petardi e uova contro i cordoni degli agenti della Brigata Mobile dei Mossos schierati a protezione dell’assemblea autonoma.

Slogan ed esplosioni hanno disturbato la seduta della Commissione agli Interni alla quale stava partecipando il titolare Ramon Espadaler e il consigliere all’agricoltura Josep Maria Pelegrí, chiamati a presentare la campagna antincendio. Naturalmente il rappresentante del governo catalano ha fatto notare che mentre durante la riunione istituzionale erano state adottate decisioni importanti grazie al ‘civile dibattito’ fuori i lavoratori si erano comportati in modo ‘aggressivo e violento’. Ma ha mancato di specificare che la campagna destinata a frenare la distruzione del territorio catalano durante i mesi estivi ha segnato nuovi tagli al personale e alle risorse da destinare a questo difficile e pericoloso compito. La Generalitat catalana ha infatti deciso di mantenere lo stesso stanziamento previsto lo scorso anno, ma di ridurre il numero di vigili del fuoco impegnati nella campagna e soprattutto il numero di ore retribuite ai pompieri ausiliari, fondamentali nel contrasto degli incendi estivi visti i buchi di organico tra quelli a tempo pieno.

Dopo la prima carica ne è seguita una seconda ma i lavoratori non hanno voluto indietreggiare e quindi ne sono seguiti degli scontri durante i quali un pompiere – Rafael Blanco – è stato arrestato e poi rilasciato ma solo dopo esser stato denunciato per ‘resistenza a pubblico ufficiale’ e altri reati. Ma il vigile del fuoco ha negato di aver mai lanciato pietre mentre non ha smentito di aver tentato di togliere una radio a un celerino giustificandosi con la necessità di difendersi dai poliziotti che stavano agendo con estrema violenza contro i lavoratori ed in quel momento ha ricevuto una violenta manganellata.

La detenzione del pompiere ha generato per alcuni minuti una forte rabbia tra i manifestanti, che hanno minacciato di andarselo a riprendere fin dentro gli uffici della polizia nel Parlamento dove era stato condotto. Poi però avendo ricevuto rassicurazioni sulla pronta liberazione del loro compagno, i pompieri hanno atteso la sua scarcerazione ottenuta anche grazie all’intervento di alcuni deputati regionali e degli attivisti sindacali.

Potete trovare i video della protesta su youtube: canale BarcinoNews, oppure canale Europapress.

                                   

IMPORTANTE! Firmate questa petizione per lottare contro la violenza sulle donne.

lunedì, Maggio 27th, 2013
Buongiorno a tutti.

Vorrei invitare tutti quelli che non l’avessero ancora fatto, a recarsi sul sito Change.org e firmare la petizione lanciata da “Ferite a morte” (www.feriteamorte.it) al Governo ed al Parlamento Italiano, che chiede gli Stati Generali contro la violenza, SUBITO.

Vi giro di seguito il testo della petizione e l’appello fatto da Serena Dandini.

Grazie. M.N. Suburbanrevol il blog.

Ancor prima che materia giuridica, è

emergenza culturale. Coinvolge tutti, uomini e donne. Bisogna affrontarla subito, partendo dalla prevenzione come altri Paesi hanno già fatto.

Per questo chiediamo al Governo di convocare con massima urgenza gli Stati Generali contro la violenza sulle donne. La lotta contro ogni forma di sopruso, fisico e psicologico, verbale e virtuale, deve essere la priorità dell’agenda politica di Governo e Parlamento.

Appello di Serena Dandini

A volte le cose sono più semplici di quello che sembrano. Non servono investimenti mastodontici e non c’è bisogno di chiamare l’esercito o invocare la pena di morte. In Italia ci sono già leggi, esempi virtuosi, energie locali e esperienze professionali che lavorano da anni contro la violenza alle donne: vanno ascoltate, coordinate, finanziate e collegate in un nuovo piano nazionale.

Una donna maltrattata, minacciata, molestata, umiliata da violenze fisiche o psicologiche è un dramma e un danno per la società intera, non un trascurabile effetto collaterale di una storia d’amore andata a male.

Siamo tutti coinvolti e responsabili, anche se non direttamente violenti, perché abbiamo comunque ignorato o avallato comportamenti considerati bonariamente scontati, endemici della nostra cultura mediterranea, simpatici machismi che fanno folklore e nessun danno. E invece anche le parole sono delle armi taglienti. Non possiamo più sentire negli articoli di cronaca frasi come “Delitto passionale” o “Raptus improvviso di follia”. Che raptus può essere un gesto annunciato da anni di violenze, minacce e ricatti?

Lo sapevano tutti che prima o poi qualcosa sarebbe successo: i vicini, il quartiere intero, persino al pronto soccorso e al commissariato di zona dove fioccano a volte denunce inascoltate. L’Italia è stata severamente redarguita dalle Nazioni Unite nella relazione di Rashida Manjoo, Rapporteur speciale del 2012 che dopo gli insulti al presidente della Camera avrebbe forse rincarato la dose:

“La maggior parte delle manifestazioni di violenza in Italia sono sotto-denunciate nel contesto di una società patriarcale dove la violenza domestica non è sempre vissuta come un crimine… e persiste la percezione che le risposte dello Stato non saranno appropriate o utili”.

Parole pesanti, gravissime, che avrebbero dovuto almeno stimolare un dibattito e che invece sono scivolate via nei cestini dei ministeri. Se ci sgridano per il debito pubblico o lo spread che s’innalza, corriamo come bambini impauriti a giustificarci mentre davanti a queste “vergogne” i governi fanno spallucce.

La violenza maschile sulle donne non è una questione privata, ma politica.

Ecco perché vi chiedo di firmare l’appello di “Ferite a morte” che chiede al Governo e al Parlamento di convocare senza indugi gli Stati Generali contro questa violenza. Servono interventi immediati, è necessario riconoscere l’urgenza e istituire finalmente un Osservatorio Nazionale che segua il fenomeno.

Grazie,

Serena Dandini via Change.org

RODOTA’: la buona azione di Bologna.

sabato, Maggio 25th, 2013
In occasione del tanto discusso, quanto inutile referendum che si terrà a Bologna domenica 26 maggio vorrei cominciare questo articolo ricordando cosa dice il bellissimo Articolo 33  della Costituzione Italiana:

Stefano Rodotà

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.


La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.


Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.


La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

E` prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. 

…inoltre voglio pubblicare la splendida lettera di Stefano Rodotà pubblicata su “Il Manifesto”, che spero, tolga eventuali dubbi e chi ne ha, e faccia capire a chi ancora non l’ha capito quanto è importante e fondamentale votare A.  

Buona lettura e buon voto.  M.N.


Si svolge domenica 26 maggio a Bologna un referendum sul finanziamento alla scuola privata
importante, difficile e rischioso. Ma la politica, quella vera, è anche, e in molti casi soprattutto, proprio capacità di assumere rischi quando sono in questione principi, quando bisogna cercar di promuovere mutamenti nella società e nel sistema politico-istituzionale. Quel che dovrebbe sorprendere, allora, non è che qualcuno abbia avuto l’ardire di promuovere un referendum, ma che questo referendum si debba fare. E oggi, in presenza di iniziative politiche a dir poco azzardate, è più che mai necessario riprendere il filo, spezzato in questi anni, della politica costituzionale e della legalità che essa esprime.
L’oggetto specifico è quello ricordato – risorse pubbliche a beneficio di scuole private. Per giustificare questa scelta, a Bologna, e non solo, si adoperano argomenti di opportunità e ritornano le contorsioni giuridiche alle quali da anni si ricorre per aggirare l’articolo 33 della Costituzione. Ma questo, davvero, è un punto non negoziabile, per almeno due ragioni. La prima riguarda la necessità di rispettare la chiarissima lettera della norma costituzionale che parla di una scuola privata istituita “senza oneri per lo Stato”. Ma bisogna anche ricordare – e questa è la seconda considerazione – che è sempre la Costituzione a prevedere che lo Stato debba istituire “scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. In tempi di crisi, questa norma dovrebbe almeno imporre che le scarse risorse disponibili siano in maniera assolutamente prioritaria destinate alla scuola pubblica in modo di garantirne la massima funzionalità possibile. Non a caso, Piero Calamandrei definì la scuola pubblica “organo costituzionale”, individuando la linea dalla quale non può allontanarsi nessuna istituzione dello Stato.
Il cardinale Bagnasco ha dichiarato che quel finanziamento permette allo Stato di risparmiare. Non comprende che non siamo di fronte a una questione contabile. Si tratta della qualità dell’azione pubblica, del modo in cui lo Stato adempie ai suoi doveri nei confronti dei cittadini. La consapevolezza di questi doveri si è assai affievolita in questi anni, e le conseguenze di questa deriva sono davanti a noi. È ottima cosa, allora, che siano proprio i cittadini a ricordarsene e a chiedere con un referendum che la legalità costituzionale venga onorata.
I cittadini bolognesi hanno oggi la possibilità di far valere un principio, al di là delle convenienze. E, comunque si concluda questa vicenda, è stata fatta una buona azione civile, destinata a lasciare un segno nelle coscienze.

Buon voto a tutte e a tutti.

Stefano Rodotà




FONTE: Il Manifesto art. del 05.maggio.2013

Morto Don Gallo, l’altra faccia della Chiesa: addio al prete degli ultimi e dei movimenti. +[VIDEO]

mercoledì, Maggio 22nd, 2013
Don Gallo insieme a Maurizio Landini

Sigaro, basco, voce roca. L’iconografia di un Che Guevara anziano con la tonaca.

Il sacerdote genovese ha speso la sua vita in rotta con le gerarchie ecclesiastiche. Nel 1970 fu il cardinale Siri a “licenziarlo” perché troppo di sinistra: da allora restò senza parrocchia, ma con tenti fedeli. Tra loro, Fabrizio De Andrè.

Mai restio a “sporcarsi le mani” in politica, ha sostenuto Doria e Vendola, mentre avrebbe visto bene Berlusconi “in Africa”. E a Grillo disse: “Non fare il padreterno”Mario Portanova | Il sigaro, il cappello, la voce roca, le sue verità rivoluzionarie. E’ morto a Genova Don Gallo (si chiamava Andrea, ma restava sempre sottinteso), da diversi giorni in condizioni di salute critiche.

Don Gallo lo guardavi, lo sentivi parlare, e non potevi fare a meno di pensare che strano corpaccione fosse la Chiesa cattolica italiana, capace di contenere lui insieme a Ruini, Scola, Andreotti, Comunione e liberazione… Prete, comunista, anarchico, no global, irriducibile dei “movimenti”, sempre dalla parte degli “ultimi”. La copertina di uno dei suoi tanti libri (“Non uccidete il futuro dei giovani”) lo ritrae in campo rosso con il basco, il pugno alzato, la bandiera della pace: un Che Guevara anziano e con la tonaca. Al G8 di Genova, nel 2001, si spese moltissimo. Incontrò Manu Chao per organizzare il concerto del musicista-icona dell’epoca, vide l’attacco immotivato dei carabinieri al corteo dei Disobbedienti di Casarini: “Una vera imboscata”, dirà a caldo pochi giorni dopo, e “Carlo muore”.

Don Gallo saluta!

Anche lui, di fronte alla “caccia all’uomo” in piazza e “al vergognoso termine della Diaz”, prova in quei giorni lo spiazzamento di chi ha “tutt’ora tanti amici nelle forze dell’ordine”. Don Andrea Gallo era nato a Genova l’8 luglio del 1928. Furono i Salesiani di don Bosco, i preti che stavano coi ragazzi, ad accendere la sua vocazione precoce. Ma con le gerarchie ecclesiastiche i rapporti non furono mai facili.
Tanti gli incarichi di frontiera – riformatorio, carcere – tanti gli stop e i trasferimenti forzati. Tra i suoi primi avversari Giuseppe Siri, storico cardinale di Genova. Siri, si ricorda nella
biografia ufficiale di don Gallo sul sito della Comunità di San Benedetto al Porto, era preoccupato per le sue predicazioni, per tutti quei discorsi che “non erano religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti”. Nel 1970, quando davanti agli altari di molte chiese italiane il cristianesimo sposava pericolosamente i fermenti dell’estrema sinistra, fu “licenziato” dalla parrocchia del Carmine a Genova, perché alla Curia non piacque affatto il suo paragone tra i danni della droga e quelli determinati da disuguaglianze e guerre.

Da quel momento don Gallo resta un prete senza parrocchia, ma con tanti fedeli. Uno di questi è Fabrizio De Andrè, che gli diceva: “Ti sono amico perché sei un prete che non mi vuol mandare in Paradiso per forza”. Pochi anni dopo, dall’incontro con don Federico Rebora, nasce la comunità di San Benedetto al Porto, che accoglie tossicodipendenti, alcolisti, malati psichici… La bella trattoria della comunità, “‘A lanterna”, di fronte al mare, è sempre stata aperta a ospiti e agitatori di passaggio in città.

                                                                                                       

FONTE: “Il Fatto Quotidiano” per l’articolo, Il video YouTube: canale di “sergiogibbe“.

Roma, sabato 18 maggio 2013, Manifestazione Nazionale.

venerdì, Maggio 17th, 2013



BASTA NON POSSIAMO PIU’ ASPETTARE!

Diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza  per la giustizia sociale e la democrazia.

Sabato 18 maggio i metalmeccanici si mobilitano e scendono in piazza a roma perché cinque anni fa con il governo Berlusconi ci avevano detto che la crisi non c’era, era passeggera, addirittura superata. negli ultimi due anni col governo monti, visto che la crisi non si poteva più negare, si è passati a un uso della crisi per legittimare le politiche di austerità in tutta europa.la scelta di non intervenire sulle cause ha determinato che il 10% della popolazione ha il 50% della ricchezza: i responsabili hanno quindi continuato ad aumentare le proprie rendite. inoltre le banche hanno ridotto il credito e investito in titoli spazzatura e la confindustria ha puntato sulla cancellazione dei diritti e la riduzione del salario. Risultato?

Hanno cancellato l’articolo 18, derogato ai contratti e alle leggi, tagliato la spesa sociale, chiuso ospedali e per 9 milioni di persone non è più garantito il diritto alla salute, chiuso scuole e università, posticipate e ridotte le pensioni. Hanno addirittura provato a generare una guerra tra inoccupati, disoccupati e precari, giovani e non, donne e uomini.l’italia continua a essere il paese con la massima evasione fiscale e la minore tassazione delle rendite finanziarie mentre attraverso le politiche fiscali hanno continuato a spremere pensionati e lavoratori dipendenti. i risultati di questa scelta sono: licenziamenti, aumento delle disuguaglianze sociali, impoverimento e inaccessibilità al lavoro. Questa condizione di solitudine ha addirittura portato persone a togliersi la vita.

E’il momento di cambiare il 18, a roma, manifestiamo per:- riconquistare il diritto del e nel lavoro – la riconversione ecologica del nostro sistema industriale per valorizzare i beni comuni acqua, aria e terra – un piano straordinario d’investimenti pubblici e privati e il blocco dei licenziamenti anche attraverso l’incentivazione della riduzione dell’orario con i contratti di solidarietà e l’estensione della cassa integrazione – un contratto nazionale che tuteli i diritti di tutte le forme di lavoro con una legge sulla democrazia che faccia sempre votare e decidere i lavoratori – un reddito per una piena cittadinanza di inoccupati, disoccupati e studenti – fare in modo che la scuola, l’università e la sanità siano pubbliche e per tutti – combattere le mafie e la criminalità organizzata che si sono infiltrate sia nella finanza che nell’economia – la rivalutazione delle pensioni e per un sistema pensionistico che riconosca la diversità tra i lavori – un’europa fondata sui diritti sociali e contrattuali, su un sistema fiscale condiviso e sul diritto di cittadinanza e sulla democrazia delle istituzioni.
Per queste ragioni ci rivolgiamo a tutte le donne, gli  uomini, i giovani, i precari, i disoccupati, i migranti, i pensionati, perché noi operaie, operai, impiegate e impiegati metalmeccanici, come voi, vogliamo una democrazia che ci permetta di partecipare e decidere del nostro futuro.





DOMANI TUTTI IN PIAZZA!!!








FONTE: contenuto del volantino FIOM in rif. alla manifestazione del 18 maggio 2013

Bangladesh, oltre 1000 vittime del lavoro disumano.

giovedì, Maggio 16th, 2013

Con 1.127 morti accertati quello avvenuto il 24 aprile scorso in una fabbrica a Rana Plaza, nella regione di Dhaka in Bangladesh, è il bilancio più drammatico al mondo per un incidente legato al lavoro dal disastro di Bhopal, avvenuto in India nel 1984.

Oggi i soccorritori chiudono le operazioni di ricerca delle vittime del crollo del fatiscente edificio che era costituito da otto piani, quasi tutti occupati da piccole aziende tessili con oltre 3000 operai e soprattutto operaie tessili.

La tragedia avvenuta il mese scorso ha portato alla luce le gravi condizioni in cui lavorano gli addetti del settore in un Paese dove vi sono oltre 4.000 fabbriche che producono vestiti per i grandi marchi occidentali e che occupano più di 3 milioni di persone, il 90% donne, in condizioni di lavoro spesso disumane.

Due giorni fa, il ministro dell’Industria Tessile del Bangladesh, Abdul Latif Siddique, ha annunciato la creazione di una commissione, formata da sindacalisti e imprenditori, con l’obiettivo di aumentare il salario minimo degli operai. In Bangladesh un lavoratore guadagna in media meno di 40 dollari al mese.

La commissione esaminerà le attuali norme che regolano i contratti – per lo più inesistenti – e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Il governo del Bangladesh ha inoltre dato il permesso ai lavoratori tessili di formare sindacati anche “senza il permesso” dei padroni.

Intanto, in seguito agli scioperi e alle proteste dei lavoratori per i bassi standard di sicurezza e i salari troppo miseri, oltre trecento fabbriche hanno chiuso i battenti nel distretto industriale della capitale Dhaka.

Il Premio Nobel per la pace Muhammad Yunus ha definito “senza senso” la decisione di alcune aziende straniere di “lasciare un Paese che ha avuto grandi benefici dalle loro attività”, invitandole piuttosto a fissare un salario minimo comune per gli operai del settore.
“Questo potrebbe aggirarsi attorno ai 50 centesimi l’ora, due volte il salario medio oggi in Bangladesh – ha sottolineato Yunus – un salario minimo di questa entità potrebbe far parte integrante di una piano di riforma complessivo del settore, che aiuterebbe a scongiurare tragedie come quella del mese scorso”.

Yunus ha quindi lanciato un appello ai consumatori e alle imprese occidentali perchè sostengano la riforma del settore tessile del Bangladesh. L’inventore del microcredito, in un intervento pubblicato sul britannico Guardian, ha sottolineato l’urgenza di migliorare le condizioni di lavoro di circa 4 milioni di lavoratori del suo Paese e di salvare vite umane.

Più di un milione di persone intanto hanno già firmato le petizioni che chiedono ai marchi che si riforniscono in Bangladesh di sottoscrivere il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement immediatamente.

Il “Bangladesh Fire and Building Safety Agreement – spiega un comunicato della Campagna Abiti Puliti che invita a firmare la petizione – comprende ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza. È un’operazione di fondamentale trasparenza che deve essere sostenuta da tutti gli attori principali bengalesi e internazionali”.


I lavoratori hanno bisogno di soluzioni strutturali per mettere fine a queste condizioni di lavoro insicure. La firma del Bangladesh Fire and Building Safety Agreement e la collaborazione con i sindacati bengalesi sono i primi passi essenziali.

FONTE

Belgio, video choc: POLIZIA PESTA A MORTE UN DETENUTO. [VIDEO]

mercoledì, Maggio 15th, 2013
Jonathan Jacob

Questa è la terrificante storia di Jonathan Jacob, 26 anni.

06/01/2010  – Mortsel, provincia di Anversa, Belgio.

La sera del 6 gennaio 2010 Jonathan Jacob viene fermato dalla polizia locale perché sotto effetto di anfetamine.

Al momento del fermo è palesemente scosso e molto agitato.
Per questo motivo gli agenti decidono di sottoporlo ad una visita medica.
Il dottore che lo visita, visto l’atteggiamento irrequieto stila il referto raccomandando l’ammissione in un’ospedale psichiatrico.

N.B. Il direttore dell’ospedale locale rifiuterà l’internamento per ben due volte poiché a suo parere non idoneo.

A questo punto viene riportato in cella e spogliato completamente.

Jonathan è visibilmente scosso,piange ed è impaurito, urla, chiede aiuto disperatamente.
Gli agenti, non sanno
come gestire la situazione e richiedono l’intervento della “Squadra di Assistenza Speciale” della polizia di Anversa.

Da questo punto in poi la storia la possiamo vedere nelle scioccanti immagini delle telecamere di sicurezza installate nella cella.
La “Squadra di Assistenza Speciale” lancia nella cella un razzo, e tempo una manciata di secondi gli sono addosso.

OTTO agenti sono sopra Jonathan.
Talmente violente e brutali sono le percosse che dal referto dell’autopsia si scopre che la morte è dovuta ad un’emorragia interna, il medico dichiarerà in un secondo momento “aveva il fegato diviso in due, ed una delle principali arterie nel suo stomaco era rotta, spezzata”.

La cosa ancor più scandalosa di questa storia è che questo video è stato reso pubblico dalla tv Belga solamente in questi giorni; nel frattempo 3 anni sono passati e chissà, magari gli stessi agenti colpevoli di questo OMICIDIO girano indisturbati per le strade del Belgio.

Ora io mi chiedo chi sono i veri criminali in questa storia?
Un povero ragazzo di 26 anni colpevole di aver assunto anfetamine, o degli ASSASSINI travestiti da poliziotti?

…è proprio vero che la ferocia e la vergogna dell’uomo non conosce limiti.

[VIDEO]


E’ morto Luciano Lutring, “il solista del mitra”.

lunedì, Maggio 13th, 2013
Il solista del mitra: Luciano Lutring

Luciano Lutring, il “solista del mitra” come veniva chiamato, è morto stanotte. E’ stato un bandito, e poi un pittore italiano. La sua biografia è stata anche il soggetto di un libro di Andrea Villani: il soprannome gli viene per la sua usanza di nascondere il fucile mitragliatore nella custodia di un violino. Con l’arma effettua rapine tra gli anni Cinquanta e Sessante in Italia e in francia, tanto da diventare il pericolo pubblico numero uno nel suo paese. La figura di Lutring diviene leggendaria assieme al suo stile di vita grandi alberghi, fuoriserie, belle donne. 

LUCIANO LUTRING E’ MORTO – Scrive Wikipedia:

La sua attitudine da ladro gentiluomo, unita alle celebri frasi in dialetto milanese pronunciate sui luoghi dei misfatti, contribuisce a rendere Lutring un personaggio popolare.
Il 1 settembre 1965 viene infine ferito ed arrestato a Parigi; sconta 12 anni di carcere (la condanna iniziale era a 22 anni) in Francia, durante i quali inizia a scrivere e dipingere; tiene persino una corrispondenza con l’allora Presidente della Camera Sandro Pertini.

In Francia pubblica “Lo Zingaro”, la sua autobiografia, dalla quale sarà liberamente tratto un film, nel quale Lutring viene interpretato da Alain Delon. Nel 1966, con la regia di Carlo Lizzani, esce un film basato sulla sua storia, dal titolo “Svegliati e uccidi”, interpretato da Robert Hoffmann, Lisa Gastoni e Gian Maria Volonté.

Graziato dal Presidente della Repubblica Francese Georges Pompidou, torna in patria, dove, dopo un periodo di internamento presso il carcere di Brescia, viene nuovamente graziato nel 1977 dal Presidente italiano Giovanni Leone.


La presentazione del romanzo di Villani a lui dedicato:

La sua storia viene riraccontata nei dettagli fin da quando nel 1956 i suoi genitori avevano in gestione a Milano un bar e lui si divertiva a girare a bordo di un’appariscente Cadillac e teneva infilata nei pantaloni una pistola Smith & Wesson scarica. Appena ventenne
amava bighellonare a bordo della sua auto (dove talora celava i residui di furti di polli e conigli) per far colpo sulle ragazze, piuttosto che dedicarsi agli studi musicali che avevano sognato i suoi genitori regalandogli prima una fisarmonica e poi un violino . Casuale fu il suo debutto nel mondo del crimine: un giorno la zia Vittoria lo spedì a pagare una bolletta della luce alle poste. Ma l’impiegato era lento e distratto, tanto che Luciano Lutring si sentì in dovere di richiamarlo con uno spazientito “Allora?”. L’uomo, alzando lo sguardo dal bancone, vide la pistola che il giovanotto, con impermeabile e cappello calato sugli occhi, teneva infilata nei calzoni e spaventato gli consegnò tutte le mazzette di denaro che aveva in cassa. Lutring “pensò per una frazione di secondi a quello che sarebbe stato lecito fare. Quindi a ciò che avrebbe preferito fare”. E così si infilò i soldi nelle tasche dando una svolta definitiva alla sua vita. 
“Luciano Lutring – La vera storia del solista del mitra” è un romanzo che racconta come “nessun uomo nasca con l’etichetta criminale… ma che a volte le contingenze potrebbero spingere chiunque nel baratro”. E rievoca le vicende di un uomo capace di attuare rapine con i bossoli che faceva esplodere sotto le scarpe puntando la pistola sempre rigorosamente in alto, ne ricorda i travestimenti, le spaccate con l’auto per procurare vistose pellicce a modelle di cui si era innamorato, i favolosi colpi effettuati con il mitra nascosto nella custodia del violino. Andrea Villani scandisce la vita spericolata di Lutring attraverso i racconti che lo stesso ex criminale gli ha fatto “tra una cena e l’altra, tra un sigaro e una grappa”. Una storia piena di scene drammatiche ma anche di aneddoti estremamente divertenti che apre e si chiude con l’immagine dell’ultima volta che Lutring è stato arrestato dalla polizia: quando la vigilia di Natale del 2007 gli agenti gli sequestrarono lamacchina perché aveva la patente scaduta. Lutring si addormentò su una panchina del commissariato in attesa che le sue figlie gemelle lo riportassero a casa. Dormì sonni tranquilli, lui che i suoi conti con la giustizia li ha per sempre pagati dopo essere stato graziato sia dal presidente francese Georges Pompidou che da quello italiano Giovanni Leone.

FONTE

La maschera di Anonymous è “capitalista”, il copyright è di una multinazionale

domenica, Maggio 12th, 2013
la maschera di Guy Fawkes

La maschera di Guy Fawkes, utilizzata per le proteste di massa contro il capitalismo, è di proprietà delle multinazionali. Lo ha rivelato Nick Bilton per il New York Times.

“Offiremo loro un 5 novembre che non sarà mai più dimenticato!”. Così recitava V, interpretato da Hugo Weaving, nel cult V for Vendetta, tratto dal fumetto di Alan Moore e David Lloyd. 

Da sempre simbolo dell’anticapitalismo e della lotta contro gli oppressori, la maschera di V (che ha il volto di Guy Fawkes, l’attivista politico che fu giustiziato per aver tentato di assassinare il Re Giacomo I d’Inghilterra), presa in prestito anche dal movimento Anonymous, è tra le più vendute al mondo, dagli store tradizionali a quelli digitali. 
La maschera viene utilizzata anche per le proteste di massa, come quelle del movimento Occupy a cavallo tra il 2010 ed il 2011, ma vi sorprenderà scoprire che i diritti dalla vendita di questo simbolo dell’equità, vanno a finire dritti dritti nelle casse di tre multinazionali. A rivelarlo è Nick Bilton per il New York Times, che spiega come nel grattacielo della Time Warner, siano felici di contare ricavi per oltre 28 miliardi di dollari di fatturato, visto che la società è proprietaria della Warner Brothers, incassando da tutto il merchandise delle sue produzioni, V for Vendetta compreso.

La maschera arrichisce anche la Rubie’s e Amazon. Ci sono altre due società che, da questo grande mercato “di protesta”, riescono a fare ottimi affari, sono una multinazionale “a carattere familiare” (ma con più di 3000 dipendenti in 14 paesi) ed un’azienda della new economy: la Rubie’s e Amazon. La prima produce oggettistica per Halloween e feste in maschera, detenendo oltre 150 licenze per produrre i costumi dei film, tra questi c’è anche quello di Guy Fawkes. Quanto ad Amazon, la maschera di “V” è stata tra le più vendute del 2010 e del 2011 e, nonostante un calo nel 2012, resta tra gli oggetti carnevaleschi più venduti. E così che le proteste contro Wall Street, contro Scientology, contro i cattivi governi, ma anche semplici idee d’avantgarde per passare un Halloween, o un Carnevale diverso, fanno a rimpinguare le casse dei “nemici” capitalisti. Meditate gente, meditate.

FONTE

Non paghi le tasse? In Grecia finisci in galera, ma non vale per la casta.

domenica, Maggio 12th, 2013
Per tentare di rimediare alle mancate entrate per l’erario che al momento ammontano a due miliardi di euro, Atene propone la reclusione in speciali carceri destinati solo ai reati finanziari. Inizialmente la misura era prevista dai 5.000 euro di tasse non pagate in su, ma il limite potrebbe scendere a mille


Chi ha debiti con lo Stato rischia il carcere. La Grecia dei tre memorandum, che non chiudono la voragine dei conti scandalo è anche questo, con un disegno di legge in attesa di essere vagliato dal parlamento su cui si sta scatenando un alveare di polemiche. Dal momento che ancora una volta salva la casta che lo propone. Secondo quanto riferito in un’audizione in Commissione Giustizia dal sottosegretario Kostas Karagounis, il governo per tentare di rimediare alle mancate entrate per l’erario che al momento ammontano a due miliardi di euro, propone la reclusione in speciali carceri destinati solo ai reati finanziari. Mentre in un primo momento la misura era prevista dai 5.000 euro di tasse non pagate in su, alcune fonti giornalistiche sostengono che il limite potrebbe scendere a mille.

Ma non è tutto. Perché il dilemma del sovraffollamento delle carceri non è solo italiano, bensì anche greco, con strutture fatiscenti e piene zeppe di detenuti per il 60% stranieri. Per questo il ministro della giustizia Rupakiotis avrebbe individuato dei siti alternativi, come le caserme militari, dove ospitare coloro che hanno debiti con lo Stato. E al contempo ha chiesto al suo parigrado albanese di poter trasferire i numerosissimi detenuti albanesi presenti nelle strutture elleniche direttamente nei penitenziari del paese delle Aquile. Un doppio corto circuito, istituzionale e ministeriale, che sta facendo imbufalire un Paese a un passo dalla crisi di nervi. Che i tre memorandum della troika ha messo in ginocchio, mentre la casta politica, dove abbondano indagati e parlamentari coinvolti in scandali di media ma anche di grossa taglia come il caso Siemens o la lista Lagarde, gode di una singolare immunità. Che vincola il giudizio di un tribunale sugli stessi ad una commissione parlamentare che ne autorizzi il processo, ma che deve esprimersi anche più di una volta in caso di nuove elezioni, così come accaduto lo scorso anno nel Paese. Con tempi che si allungano e prescrizioni che vanno in soccorso di deputati e ministri.

Nell’ultimo trimestre sono stati quasi cinquecento i cittadini greci che hanno varcato le porte di un carcere per debiti con l’erario. Dal momento che in questo biennio di crisi l’economia si è fermata e i circuiti commerciali interrotti, con aziende chiuse, imprenditori e lavoratori che si sono tolti la vita, sono numerosissimi i greci che non sono materialmente riusciti a pagare i famigerati karatzi, ovvero l’Imu sugli immobili che lo Stato ha inserito come voce nella bolletta della luce. E che ha causato il taglio per i morosi che sono stati costretti addirittura a far ricorso alle candele. La domanda, a questo punto, è perché il governo scelga un percorso simile, quando in realtà, se si andasse a pescare nelle sacche degli scandali ci si potrebbe anche guadagnare.In questi giorni infatti nel paese si sta celebrando il maxiprocesso ad uno degli uomini più influenti della storia recente: Akis Tzogatzopulos, ministro della Difesa negli anni novanta ma soprattutto grande ombra dietro le quinte del premier Andreas Papandreou, padre-padrone della politica greca. É accusato di aver costruito una rete di società off-shore per gestire almeno 160 milioni di euro di fondi neri e frutto di tangenti, specificatamente per aver acquistato ingenti quantitativi di armamenti, tra cui sommergibili tedeschi e sistemi missilistici russi. Un nome, quello di Tzogaztopulos in carcere dallo scorso maggio, che sta facendo tremare i palazzi del potere in Grecia, anche perché in un’udienza ha annunciato di voler chiamare come testimoni gli ex premier socialisti Simitis (che curò il passaggio del paese dalla dracma all’euro) e Papandreou su cui incombono i riverberi della commissione di inchiesta sulla lista Lagarde, l’elenco degli illustri evasori. In cui in un’intercettazione telefonica agli atti si fa il nome di sua madre Margareth come titolare della cifra monstre di 500 milioni di dollari.

Tra l’altro molti sono i giudici greci che considerano la misura di detenzione proposta dall’esecutivo incostituzionale, come fatto in un sentenza dal sostituto procuratore di Salonicco, Vasilis Adampas, perché incide sugli articoli 2, 6 e 25 della Costituzione che si riferiscono la protezione della dignità umana. “Il legislatore ha introdotto una non convincente regolamentazione”, ha dichiarato. Le detenzioni per i reati finanziari oggi contano nel Paese 4500 individui, su un totale di circa 13.000. Provocando sdegno tra cittadini e commentatori, dal momento che a fronte di tale inasprimento non sono mancati i pubblici ministeri che negli ultimi anni hanno manifestato atteggiamenti di clemenza nei confronti di reati più gravi. Infatti l’Associazione dei procuratori greci ha scatenato un duro attacco contro il ministro Roupakiotis che ha parlato di “giudici attivisti”, sostenendo che tali espressioni infelici inducono in errore il pubblico e minano la fiducia per la giustizia, in quanto suggeriscono che le decisioni giudiziarie sono spesso il prodotto di un’arbitrarietà fuori dalla legge.



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