Archive for Gennaio, 2013

Aldrovandi l’ora della verità, rischiano il carcere i quattro poliziotti.

venerdì, Gennaio 18th, 2013
Federico Aldrovandi

Martedì la decisione sugli agenti condannati dopo la morte di Federico, il diciottenne di Ferrara ucciso a settembre del 2005. Qualunque sia la decisione lasceranno il servizio.

Martedì prossimo sarà un giorno cruciale per i quattro poliziotti condannati dopo la morte di Federico Aldrovandi, il diciottenne di Ferrara ucciso nel settembre del 2005 durante un duro intervento in strada di una pattuglia del 113. La Cassazione, nel giugno scorso, ha confermato per i quattro agenti ancora in servizio la condanna a tre anni e sei mesi e ora arriva l’ultimo atto di una storia sventurata. Il Tribunale di sorveglianza di Bologna presieduto da Francesco Maisto ascolterà i quattro agenti e dovrà decidere la loro sorte: la via del carcere oppure, accogliendo le richieste dei difensori, l’affidamento in prova ai servizi sociali o, come misura intermedia, la detenzione domiciliare. Quale che sia la decisione, comunque, è evidente che i quattro agenti — Enzo Pontani, Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri — dovranno lasciare il servizio, perché anche il più lieve affidamento in prova, con quello che comporta come impegno oltre che come immagine che confligge con la figura di un rappresentante delle istituzioni, non potrà essere compatibile con il servizio attivo.Tra gli impegni spettanti a coloro che sono affidati ai servizi sociali c’è anche quello di svolgere lavori socialmente utili o riparatori nei confronti delle vittime. È plausibile che il Ministero li sospenda per i sei mesi che durerà la loro pena, quale che sia: solo sei mesi perché grazie all’indulto tre anni sono stati condonati. Si è arrivati a questo stadio
giudiziario della triste vicenda dopo che, il 30 luglio scorso, i poliziotti hanno ricevuto un ordine di carcerazione, ma con la decisione del pubblico ministero di sospenderne l’esecuzione per dare agli avvocati modo di chiedere misure alternative al carcere. E’ quello che era successo anche per il caso del direttore del Giornale Alessandro Sallusti.

FONTE: Repubblica.it di  Luigi Spezia

Adozioni “gay”, il no dei cattolici: prove tecniche di disonestà intellettuale

lunedì, Gennaio 14th, 2013

Ancora polemiche sulla sentenza che affida un bambino alla mamma lesbica. I benpensanti stilano la patente di genitore incentrata sull’orientamento sessuale.

La sentenza della Cassazione che ha confermato l’affidamento esclusivo di un bambino alla madre, convivente con un’altra donna, ha iniziato come prevedibile a far discutere. Le prime reazioni sono arrivate dal mondo cattolico, che reclama come unico alveo familiare possibile per un minore quello formato da una donna (la madre) e un uomo (il padre). Le gerarchie cattoliche e la stampa a loro vicina incentrano la critica sul diritto del bambino alla bigenitorialità tacciando la sentenza della Suprema Corte di considerare “il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori della realtà naturale, biologica e psichica, umana”(Carlo Cardia su Avvenire del 12 gennaio) e di avallare “l’adozione dei bambini da parte degli omosessuali” che “porta il bambino a essere una sorta di merce” (arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Dicastero vaticano per la famiglia). Non sono mancate, sulla stampa tutta, interviste a psicoanalisti e psicologi dell’età evolutiva tra i quali vige una variegata gamma di approcci proprio perché, come indica correttamente la sentenza, “si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino”.Intanto è da rilevare, per smontare la crescente strumentalizzazione del caso, che la sentenza non parla di adozione gay né di omogenitorialità: il bambino in questione ha un padre col quale continuerà a vedersi con cadenza quindicinale, ma è stato affidato alla madre che convive con la sua compagna. D’altronde alle esagerazioni siamo abituati da tempo: l’aborto e l’eutanasia, per il mondo cattolico, sono omicidi, le coppie gay un attentato alla famiglia tradizionale e ora affidare un bambino a una madre lesbica significa consentire le adozioni omosessuali.
Detto ciò, viene spontaneo osservare che la tutela del minore e del suo diritto a crescere in un ambiente sano venga affrontata solo quando passa dalle aule di un tribunale. E allora ognuno crede di poter dire cosa è giusto o sbagliato, pontificando su questioni “morali” che con la legge nulla hanno a che vedere. Un problema di diritto, cioè, si trasforma in un referendum etico.
Se la domanda “è giusto che un bambino venga affidato alla madre se questa convive con un’altra donna?” è lecita, allora lo sono tante altre. E tutte riguardano la salute psicologica del bambino. Vuol dire che la legge dovrebbe intervenire in tutti quei casi in cui si teme una “manipolazione”, per dirla con Avvenire, del minore o un impatto negativo sulla sua crescita. Eppure, per le famiglie “normali”, cioè formate da un uomo, una donna e relativa prole, nessuno si preoccupa dell’educazione dei figli. Non se ne preoccupano i tribunali, non se ne preoccupa l’opinione pubblica. Ma all’interno di queste famiglie esistono anche genitori litigiosi, assenti, violenti, anaffettivi o irresponsabili, genitori che riversano aspettative o malesseri sui figli, genitori che li usano come arma di ricatto nei confronti del coniuge (o ex); persone, in altri termini, inadeguate al loro ruolo che producono danni indelebili nella progenie. La sacralità dell’alveo in cui si muovono, però, li esime da ogni forma di giudizio.Sindacare su cosa sia giusto e cosa sbagliato per la crescita di un bambino porta a discorsi pericolosi. Ammettendo per un attimo che i parametri di valutazione siano univoci, se esistono situazioni “buone” e “cattive” in cui allevare un figlio allora esistono anche genitori capaci e incapaci. E ancor prima, persone adeguate ad avere figli e persone che non lo sono. E questo indipendentemente dalla formalizzazione familiare (matrimonio, convivenza omo o etero, separazione). Chi strumentalizza la sentenza della Cassazione dovrebbe, per logica, proporre un esame per diventare genitore, una specie di patente, magari da rinnovare ogni anno, che attesti l’idoneità dell’individuo ad assumersi l’onere intellettivo, emotivo, psicologico ed economico della crescita di un figlio. Chi non superasse l’esame non potrebbe mettere al mondo figli e, se ce li ha già, dovrebbero essergli tolti per affidarli a genitori più degni. Questo, per assurdo, è lo scenario che si prospetta se si attribuisce alla sentenza un valore morale.
Ma c’è di più. La fecondazione eterologa, vietata in Italia dalla legge 40 ma possibile in tutti i paesi più evoluti del nostro, consente a ogni donna single o lesbica che lo desideri – e possa permettersi il viaggio – di diventare madre. E nel secondo caso magari assieme alla sua compagna. Cosa propongono su questo i difensori dei diritti dell’infanzia? Un intervento legislativo? La sterilizzazione obbligatoria delle donne non regolarmente coniugate?
La riproduzione è un diritto dell’individuo, che sia eterosessuale, omosessuale, intelligente, stupido, grasso o magro. Che sia all’altezza del mestiere più difficile del mondo, quello di genitore, o non lo sia. Entrare di violenza, e per legge, in un ambito così delicato e soggettivo porterebbe ad aberrazioni vicine a quell’eugenetica contro la quale si urla, quasi sempre a sproposito, nel mondo cattolico.
Se nulla si può fare per quei disagi latenti e mai denunciati che subiscono molti figli a causa di genitori inadatti seppur eterosessuali, molto, invece, è possibile per agevolare minori che, integralisti nostrani nolenti o volenti, hanno due genitori dello stesso sesso o vivono in famiglie omoparentali. Perché il problema è solo culturale e la discriminazione che ne consegue non è “naturale”, bensì generata da chi la brandisce come arma per salvaguardare valori ormai obsoleti in una società che cambia.
Ecco perché la sentenza della Cassazione, in questo senso, è importante. Non entra nel merito del tipo di affettività dei genitori ma si limita a giudicarli per quello che sono nel contesto: una madre e un padre che si contendono un figlio. Al quale bisogna dare, come in tutte le separazioni, il massimo della tutela giuridicamente possibile.
FONTE: Articolo tratto da Informare per Resistere scritto da: Cecilia M. Calamani.