Sul corpo di Cucchi “c’è sangue dappertutto”.
Ilaria Cucchi |
E’ la riunione dove si esaminano i prelievi effettuati sulla colonna vertebrale di Stefano. L’ultima prima della perizia che verrà consegnata il prossimo 12 dicembre, in vista dell’udienza in Corte di Assise nell’aula bunker di Rebibbia che sarà celebrata il prossimo 19 dicembre. L’atmosfera è tesa.
Vedo le espressioni soddisfatte dei miei consulenti e percepisco l’imbarazzo di altri.
Stefano Cucchi |
Le ossa della colonna vertebrale di mio fratello sono piene di sangue, il quale invade anche il canale midollare. Ora non si potrà più negare che abbia subito un feroce pestaggio. l3, l5, s4 sono sigle che vogliono dire fratture, che vogliono dire dolore, che vogliono dire sofferenza, che vogliono dire morte.
Io lo vedo mio fratello in quelle condizioni, e osservo mio padre di fianco a me col cappotto, con le mani in tasca e lo sguardo basso perso nel vuoto.
Uno dei miei consulenti polemicamente si rivolge a qualcuno e dice: “l5 non è una frattura da bara, vero professore?”. “Non è una frattura da bara, vero professore?”, ripete più volte. Il professore è in imbarazzo, ha lo sguardo basso e ammette : “E’ vero, non lo è”.
Ora, se si vuol dare la colpa soltanto ai medici per quanto è successo al Pertini, sostenendo che le botte non c’entrano, bisogna affermare che se Stefano si fosse ricoverato per sbaglio il 17 ottobre stendendosi da solo su quel letto, sarebbe morto comunque e nello stesso modo.
Oppure occorre sostenere che un malato defedato, in pessime condizioni di salute, puó essere indifferente a traumi e fratture alla colonna vertebrale che gli vengano procurati prima della sua morte.
Siamo qui io e mio padre e il pensiero è unico. Quanta fatica ci chiede lo Stato per dover dimostrare ciò che è ovvio per tutti.