Lo Stato Italiano: se sei lesbica? Sei malata…

Secondo i moduli del dicastero della salute il “lesbismo” è una vera e propria malattia. E non si tratta di una gaffe, ma di una classificazione vecchia di anni che rimarrà in atto ancora per molto tempo a causa dei ritardi burocratici

Per quanto suoni strano, è ufficiale: per lo Stato le lesbiche sono “malate”. Non è l’ultima sparata di Carlo Giovanardi, né lo slogan omofobo di qualche facinoroso dell’ultradestra. Lo mette nero su bianco il modulo “Icd9-cm”, vale a dire l’elenco ufficiale delle patologie e dei traumi varato per decreto dal ministero della Salute. A pagina 514, capitolo 302, paragrafo “0”, è inserito il “lesbismo egodistonico”, classificato dunque a tutti gli effetti come malattia per gli enti pubblici, per l’Inps che sulla base di quegli elenchi certifica disabilità e invalidità, per Comuni e Regioni, ospedali e istituti di previdenza. E così scoppia il caso delle “lesbiche malate”, finora sfuggito perfino ai dirigenti di viale Trastevere. E si annuncia bufera a Montecitorio, fra interrogazioni già firmate dall’Italia dei Valori e proteste della comunità gay, incredula di fronte a quella che suona come l’ennesima discriminazione.

Nel Paese della burocrazia elefantiaca accade anche questo. Mentre l’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità) ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle malattie il 17 maggio del 1993, in Italia sopravvive in un documento ufficiale quel riferimento alle donne omosex. Eppure la lista è stata aggiornata nel 2007 dall’allora ministro del Pd Livia Turco e poi ratificata, senza correzioni, dal ministro del Pdl Ferruccio Fazio nel 2009. Ma non è bastato.

ARRIVA LA CONFERMA
Una drammatica svista? Una versione troppo datata? Una bufala? Macché. Basta telefonare all’Inps e domandare: “Scusi, dottore, qual è l’elenco delle malattie che usate per le pratiche?”. Un gentile dirigente conferma che è proprio il famigerato “Icd9-cm”, lesbiche incluse. Stessa cosa negli ospedali. E ancora all’ufficio legislativo della Regione. Fino al dicastero guidato da Renato Balduzzi . Sulle prime all’ufficio del ministro cadono dalle nuvole: “Non è imputabile a noi”, precisano. “Questo è ovvio”. Poi a viale Trastevere partono le verifiche. Si cerca il direttore generale. Si passano al setaccio i decreti. Finché arriva la conferma: “Il “lesbismo egodistonico” è presente nel testo in vigore”, spiegano. La ragione? “Quell’elenco è la traduzione di un documento dell’Agenzia federale americana. Un elenco, in effetti, già decaduto e sostituito da anni a livello internazionale dal modello successivo, appunto “Icd10″, dove il riferimento al lesbismo non c’è più”. Peccato che l’Italia non si sia ancora adeguata al nuovo testo, “perché la procedura è complessa”, aggiungono nell’entourage del ministro.

Nel frattempo le lesbiche si dovranno tenere la loro malattia di Stato. Ma per quanto? Forse per anni. Non è dato sapere: “Ci stiamo adeguando, ma la tempistica è piuttosto lunga. La nuova classificazione modifica tutto, codici e procedure chirurgiche. Cancella il vecchio sistema e l’intero capitolo 302.0. Difficile dire quando entrerà in vigore anche in Italia”. Impossibile anche l’intervento riparatore in extremis. Un decreto, cioè, che cancelli la malattia di lesbismo in attesa del nuovo testo: “Non sono ammesse modifiche parziali del decreto, solo l’adozione del nuovo elenco Icd10”, precisano al ministero. “Quindi bisognerà aspettare”. Non i dipietristi, però, che già lunedì vogliono sollevare il caso in Parlamento con un’interrogazione di Silvana Mura, mentre il responsabile diritti civili dell’Idv, Franco Grillini, parla di “discriminazione di Stato inaccettabile”.

OMOFOBIA RECORD
Anche perché fra traduzioni datate e vuoti legislativi, l’omofobia in Italia cresce. E nel 2011 segna un picco record. L’Unar, l’ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali della presidenza del Consiglio, nella relazione di pochi giorni fa al Parlamento per la prima volta ha analizzato gli atti di violenza contro gay, lesbiche e trans. Con un primo dato allarmante. Fra le matrici della discriminazione l’orientamento sessuale sale al secondo posto dopo i motivi razziali con il 25 per cento dei casi. Un dato confermato dal Viminale, che dal 2010 ha attivato l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori guidato dal vicecapo della polizia.

di Tommaso Creno tratto da L’Espresso 
 

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