Scandalo Amazon, tra illegalità e inumanità


É sempre un gran peccato quando qualcosa che eravamo soliti ritenere efficiente e affidabile viene scoperta essere meno ineccepibile di quanto si pensasse. Lo scandalo finito sulle prime pagine di tutti i principali quotidiani tedeschi riguarda Amazon, popolarissima compagnia di commercio elettronico americana, famosa per le sue spedizioni ultra-rapide e per il più vasto catalogo di libri acquistabili online.

Un’inchiesta della Ard, principale gruppo radiotelevisivo pubblico in Germania, ha però suscitato un clamore enorme svelando come Amazon, compagnia con un fatturato annuo da 9 miliardi di dollari e una fetta di mercato pari al 20%, permetta che i dipendenti di uno dei centri tedeschi di smistamento della compagnia vivano in condizioni a dir poco inumane.



Il reportage è stato girato nella sede di Bad-Hersfeld, nello stato federale dell’Assia, quasi perfettamente al centro dello stato tedesco e per questo motivo, svincolo fondamentale per il movimento delle merci ovunque in Europa. Durante il periodo di Natale il personale occupato aumenta in quella sede di circa 5 mila unità a causa della mole enorme di lavoro da smaltire. Ad occuparsi dell’assunzione non è la stessa Amazon, ma un’agenzia interinale che, sfruttando il nome del colosso americano, riceve migliaia di richieste all’anno. In realtà però come il reportage ha mostrato i contratti “non riconoscono il versamento di contributi sociali e, soprattutto, prevedono una decurtazione del salario del 12% rispetto a quanto promesso in origine. In quasi tutti i casi i lavoratori, ancora a digiuno di tedesco, non capiscono neppure quel che firmano, visto tutte le carte sono compilate in lingua locale”.

Ma c’è di peggio. La maggior parte degli impiegati sono di origine straniera, spesso spagnoli a causa dell’enorme tasso di disoccupazione di quel paese e nel contratto viene promesso anche l’alloggio. Questi però risultano poi essere miniappartamenti in cui vengono stipati anche in sei per stanza, con condizioni igieniche precarie, lontanissimi dal posto di lavoro che viene raggiunto con delle navette spesso sovraffollate, il cui ritardo, causato da neve o traffico, incide sullo stipendio del personale. Chi si permette di criticare, ovviamente, viene licenziato in tronco.

Quello che ha destato più scalpore però sono le connotazioni politiche delle persone destinate – full-time- ad occuparsi della sicurezza dei lavoratori. Una delle agenzie della security infatti impone ai propri dipendenti vestiti recanti la scritta H.e.s.s., certamente come Hensel European Security Services ma che tetramente ricorda anche Rudolf Hess, uno degli uomini più conosciuti ed influenti durante il periodo nazista. In più alcuni dei capi utilizzati erano della Thor Steinar, marca simbolo dei neonazisti tedeschi.

Interpellato dai giornalisti un portavoce della compagnia ha dichiarato che all’interno dell’azienda non sono ammesse discriminazioni e che i contratti a tempo determinato, tipici del periodo di Natale, sono banchi di prova del personale “nella prospettiva di un impiego a lungo termine”. Nulla di strano, insomma.

Tutto ciò però avviene in Germania, in cui ogni minimo riferimento al nazismo viene acuito e in cui una vicenda come questa riporta alla memoria le parole di Angela Merkel per le celebrazione del 27 gennaio di quest’anno: “Olocausto, la nostra responsabilità è permanente”. In realtà però pare che vicende simili non rappresentino una novità per l’azienda, poiché un’altra inchiesta, nel magazzino di Lehigh Valley, in Pennsylvania, fatta questa volta dal The Morning Call, un giornale locale, aveva portato alla luce condizioni degradanti per gli impiegati locali, con turni di dieci ore e pochi minuti di pausa.

Insomma, mentre alcuni clienti tedeschi giurano che inizieranno a boicottare la compagnia statunitense, risuona forte l’incoerenza della pioggia di critiche fatte alla Foxconn cinese per la produzione di pezzi Apple, con condizioni di lavoro molto al di sotto degli standard occidentali. 
Quale Occidente, però, non si sa.



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