Archive for the ‘Controinformazione’ Category

Berlusconi a reti unificate: si sente puzza di P2 [VIDEO]

giovedì, Agosto 8th, 2013
 
-di Loris Mazzetti-  

La manifestazione di via del Plebiscito non è stata eversiva ma folcloristica: un raduno di nostalgici come avviene ogni anno a Predappio. Se il pregiudicato Berlusconi fosse convinto di avere tutto il “popolo” del centrodestra dalla sua non aspetterebbe un minuto per tornare al voto. Erano circa tremila persone come quelle che Marco Travaglio e Roberto Saviano portano alle loro performance con la differenza che da loro si paga un biglietto e se il pubblico vuole un 



panino, una banana o una bottiglia d’acqua, paga anche quelle, mentre a Roma, oltre al viaggio, tutto era gratis come hanno raccontato alcuni anziani al Tg3. Il Che di Arcore è un attore nato con straordinarie battute da avanspettacolo: “Non ho mai telefonato neanche al centralino di Mediaset per non essere accusato di conflitto d’interessi”.

La differenza tra via del Plebiscito e Predappio sta nella ripresa televisiva ben orchestrata, la regia ha usato sapiente grandangoli, mai inquadrato la fine della strada e sempre le bandiere di Forza Italia di quinta. La messa in scena ha raggiunto il culmine quando il pregiudicato si è avvicinato ai fan e la telecamera che lo seguiva ha indugiato sui particolari delle mani che si stringevano. A Roma l’unico eversore era lui e le sue parole contro la magistratura sono da denuncia penale. Il Capo dello Stato, che è anche il presidente del Csm, cosa aspetta ad intervenire?

Purtroppo il berlusconismo ha annacquato le menti, come è accaduto la sera della conferma della condanna per frode fiscale, gli speciali tv si sono sprecati: da Porta a porta a Mentana passando da Rete 4. Il Che di Arcore, ha compiuto l’ennesimo atto eversivo, passato sotto il silenzio generale: ha consegnato a tutte le tv un video di ben 9 minuti che i fedelissimi, primo fra tutti Bruno Vespa, hanno trasmesso per intero[VIDEO]. Il pregiudicato ha potuto entrare nelle case dei cittadini per dichiararsi innocente e definendo la Giustizia “vile”. Tutti i commentatori hanno analizzato la sua immagine: grasso, gonfio, stanco, distrutto, molto provato. E la messa in onda del video tutto normale? Nel 1994 quando il pregiudicato cominciò a mandava le cassette in Rai c’erano giornalisti come Roberto Costa, responsabile del telegiornale della Lombardia, che, quando Rossella, direttore del Tg1, gli telefonò chiedendogli di mandare ad Arcore qualcuno a ritirarla rispose: “Posso mandare una troupe con un giornalista per l’intervista, non siamo un’agenzia di pony express”.

In questi giorni in Italia si è sentita una grande puzza di P2.

FONTE: Il Fatto Quotidiano

Una tassa sulla morte

mercoledì, Agosto 7th, 2013

Pierre Moscovici

La fantasia dei liberisti europei non ha limite, soprattutto quando diventa realtà. Sulla base del principio della “tassa di uscita” per i contribuenti che lasciano la Francia per approfittare della tassazione più bassa in altri paesi, il Ministero dell’Economia francese ha pensato di espandere il principio anche per i defunti. Il ministro Pierre Moscovici infatti sostiene l’idea che la morte è un ritiro definitivo dal pagamento delle imposte e che quindi può essere tassato.



Il principio divide al momento i vertici dello stato: se Palazzo Matignon ritiene che la soluzione a lungo termine possa rivelarsi come radicale e impopolare, il Presidente della Repubblica è preoccupato che questa abbasserà ancora di più la sua popolarità. Una cosa è certa: questa “tassa di uscita finale” non sarà attuata prima delle elezioni comunali del 2014.
La principale riluttanza di Francois Hollande è che questa tassa colpirà tutta la società contrariamente alla sua precedente posizione che aveva invece colpito categorie specifiche, in molti casi diverse dal suo elettorato tradizionale. Hollande in un recente discorso televisivo aveva promesso di non introdurre nuove tasse per francesi, tuttavia, il suo annuncio è stato spazzato via dai suoi consiglieri. La morte fisica legalmente corrisponde all’estinzione di nazionalità.
La BCE ha inviato un osservatore, con il compito di preparare una relazione sulla misura. In caso di successo, il principio della “tassa di uscita finale” potrebbe essere applicata ad altri paesi della zona euro, in difficoltà economiche. Ovviamente occorrerà definire con precisione i contorni di questa “tassa di uscita finale”. Secondo alcune fonti però passato nel mese di agosto, verrà avviato con la massima discrezione una indagine speciale. La “tassa di uscita finale”, in combinazione con le leggi vigenti in materia di tasse di successione, potrebbe presto diventare ben presto la tassa statale più redditizia. Insomma non solo il grande capitale punta a farci morire prima per risparmiare sui costi previdenziali, ma vuole renderci più oneroso anche il trapasso. Dobbiamo fermarli, con ogni mezzo necessario.


FONTE: Contropiano

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Morti sul lavoro, sono 700 non 348 nei primi 6 mesi del 2013. Facciamo chiarezza sui numeri

mercoledì, Agosto 7th, 2013

Dal 1° gennaio al 31 luglio 2013 sono morti sui luoghi di lavoro 348 lavoratori, 50 nel mese di luglio e 69 in giugno, se contiamo le morti sulle strade e in itinere si arriva a superare le 700 vittime. Dopo tanti anni di denuncia del fenomeno da parte nostra, finalmente si comincia a fare chiarezza sulla vera entità del numero di morti sul lavoro. Nel suo rapporto l’INAIL dichiara che i morti sul lavoro nel 2012 sono stati 790, compresi 409 lavoratori morti sulle strade. Se si detraggono i 409 morti sulle strade per l’INAIL nel 2012 risultano 381 lavoratori morti sui luoghi di lavoro.




Noi dell’Osservatorio ne abbiamo registrati nel 2012 ben 624 solo sui luoghi di lavoro. Come mai questa differenza del 40%? Ancora nel rapporto INAIL si legge che le denunce per infortuni mortali nel 2012 sono state oltre 1296, una palese contraddizione che è opportuno approfondire. Chi sono e cosa facevano nel momento dell’infortunio queste centinaia di lavoratori che l’INAIL non inserisce tra le morti sul lavoro pur essendoci una denuncia d’infortunio mortale? L’Osservatorio già il 1° gennaio 2013 scriveva che i morti nel 2012 erano complessivamente più di 1180. Dal 1° gennaio 2008, giorno d’apertura dell’Osservatorio si è sempre parlato di “favolosi” cali delle morti sul lavoro. Sapete di quanto è stato questo calo al 31 luglio 2013 rispetto al 31 luglio 2008? Del 2,8%.

E proprio grazie a questi presunti cali ci si è permessi di alleggerire la normativa sulla Sicurezza sul lavoro: meno ispettori, meno controlli, meno intralci burocratici per le imprese, e tutto a spese della Sicurezza per i lavoratori. Il 31 luglio 2012 erano morti sui luoghi di lavoro 360 lavoratori contro i 348 del 31 luglio del 2013 e tenendo conto che dall’anno scorso sono stati tagliati posti di lavoro e la cassa integrazione è cresciuta in modo drammatico, il risultato non è certo incoraggiante. Al contrario nonostante la crisi in proporzione assistiamo ad un aumento del fenomeno che ci vede primi in Europa in rapporto al numero di abitanti, il solo parametro valido per valutare l’andamento delle morti in una provincia o in una regione. Questo perché a morire sono in larga parte persone che non dispongono di un’assicurazione e che non rientrano nelle statistiche ufficiali.


Noi pensiamo ci sia la necessità di fare la massima chiarezza su un aspetto fondamentale: noi consideriamo morti sul lavoro tutti i lavoratori che muoiono mentre lavorano, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa che spesso è diversa o addirittura non esiste (lavoro nero).






È raccapricciante pensare che un terzo dei lavoratori morti ha oltre 60 anni e che la riforma Fornero abbia inciso notevolmente su queste morti, non avendo fatto nessuna distinzione nell’allungamento dell’età pensionabile tra chi svolge un lavoro pericoloso e usurante e chi uno d’ufficio. Tutti gli anni assistiamo ad una strage di agricoltori schiacciati dal trattore e di edili, nell’indifferenza della politica, di tutta la nostra classe dirigente e di quasi la totalità dei media i quali danno visibilità al fenomeno solo quando si parla di scandali, di cronaca nera e di politica. In questi primi sette mesi il 38,6% dei morti sul lavoro è nel comparto agricolo: quasi i due terzi delle vittime in agricoltura sono dovuti allo schiacciamento dal trattore. Le morti nel comparto dell’edilizia risultano il 24,4% sul totale.

Il 19,1% nei servizi, il 6,39% nell’industria,  il  5,5 % nell’autotrasporto.  Poi ci sono i lavoratori morti sulle strade e in itinere che sono considerati a tutti gli effetti morti per infortuni sul lavoro e che sono almeno altri 350 dall’inizio dell’anno. Moltissimi di questi decessi sono considerati come morti per incidente stradale, ma in effetti molti di questi sono lavoratori che si spostano sulle strade e autostrade, dal sud al nord o viceversa e spesso nascondono lavoro nero che è impossibile riuscire a quantificare nell’interezza (e anche noi non inseriamo le vittime d’infortuni per l’impossibilità di quantificarli). L’opinione pubblica ha la sensazione che a morire siano soprattutto operai nelle fabbriche mentre sono “solo” il 5,6% dall’inizio dell’anno, mentre nel 2012 furono il 7% del totale, per la stragrande maggioranza nelle piccolissime aziende dove il sindacato e la prevenzione non esistono. Lo Stato attraverso vari enti spende milioni di euro per corsi che a nostro giudizio non hanno utilità se non quella di riempire le tasche di chi li organizza.

Agli agricoltori che muoiono così in tanti cosa viene offerto in termini di conoscenze, aiuti per migliorare i mezzi e la prevenzione? E per gli edili che muoiono con le stesse percentuali in piccolissime aziende, che cadono dall’alto o travolti dai mezzi che guidano loro stessi o i loro colleghi, o dal materiale che stanno manovrando, cosa si fa? Che conoscenze si danno e cosa si fa per rendere più sicuro il lavoro di persone che spesso non conoscono neppure l’italiano e lavorano in nero o in grigio per 10 o 12 ore al giorno svolgendo attività faticose e poco sicure? È molto frustrante scrivere ogni anno le stesse cose e vedere i dati delle solite statistiche che ti dicono che i morti sono molto meno numerosi. Questo cosa significa? Che in realtà la Sicurezza sui luoghi di lavoro complessivamente sta calando causa minori controlli dovuti allo stanziamento di meno risorse da parte degli ultimi governi

Le statistiche ufficiali sono alterate perché mettono assieme i morti sui luoghi di lavoro e quelli che muoiono sulle strade e in itinere che sono un’altra cosa; l’assicurazione INAIL in itinere è sacrosanta, ma come si fa a non distinguere quantitativamente e qualitativamente gli interventi da mettere in atto se non fa un distinguo tra i due fenomeni? Occorre sapere con chiarezza come intervenire se si vuol salvaguardare la vita di chi lavora. E’ intollerabile che un paese come il nostro che ha 60 milioni di abitanti conti tantissimi morti in più sui luoghi di lavoro degli altri grandi paesi europei.



Tra l’altro l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro è visto spesso con sufficienza, con fastidio o come un intruso dalla politica (tutta) e anche da molte organizzazioni dei lavoratori. E questo è molto triste. Chi si sta preoccupando della vita e della sicurezza dei lavoratori che lavorano per la maggior parte in fabbriche che non sono adeguate alle norme antisismiche del 2005? Chi sta facendo i controlli necessari che li mettano al sicuro in caso di altre scosse di terremoto come quelle che hanno colpito l’Emilia nel 2012? 


FONTE: Articolo 21 articolo di Carlo Soricelli

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Petizione: Costituzione, “non vogliamo la riforma della P2”. Firma l’appello

lunedì, Agosto 5th, 2013

Buongiorno a tutti,

vorrei sottoporre alla vostra attenzione questo appello, lanciato un mese fa da Antonio Padellaro direttore di “il Fatto Quotidiano”.


Per maggiori e più dettagliate informazioni, pubblicherò a seguire il testo della petizione, che comunque potrete trovare anche su Change.org appena deciderete di firmare. Aspettando l’ultima firma che chiuderà la petizione, colgo l’occasione per ringraziare tutti per la partecipazione.
In fondo al testo troverete il link per arrivare direttamente alla pagina che vi consentirà di apporre la vostra importantissima firma.



APPELLO:
Ignorando il risultato del referendum popolare del 2006 che bocciò a grande maggioranza la proposta di mettere tutto il potere nelle mani di un “Premier assoluto”, è ripartito un nuovo e ancor più pericoloso tentativo di stravolgere in senso presidenzialista la nostra forma di governo, rinviando di mesi la indilazionabile modifica dell’attuale legge elettorale.




In fretta e furia e nel pressoché unanime silenzio dei grandi mezzi d’informazione la Camera dei Deputati ha iniziato a esaminare il disegno di legge governativo, già approvato dal Senato, di revisione dall’articolo 138, che fa saltare la “valvola di sicurezza” pensata dai nostri Padri costituenti per impedire stravolgimenti della Costituzione.

Ci appelliamo a voi che avete il potere di decidere, perché il processo di revisione costituzionale in atto sia riportato sui binari della legalità costituzionale.

Chiediamo, innanzitutto, che l’iter di discussione segua tempi rispettosi del dettato costituzionale, che garantiscano la necessaria ponderazione delle proposte di revisione, il dovuto approfondimento e anche la possibilità di ripensamento.

Chiudere, a ridosso delle ferie estive, la prima lettura del disegno di legge costituzionale, impedisce un vero e serio coinvolgimento dell’opinione pubblica nel dibattito che si sta svolgendo nelle aule parlamentari.



In secondo luogo vi chiediamo di restituire al Parlamento e ai parlamentari il ruolo loro spettante nel processo di revisione della nostra Carta costituzionale.


L’aver abbandonato la procedura normale di esame esplicitamente prevista dall’articolo 72 della Costituzione per l’esame delle leggi costituzionali, l’aver attribuito al Governo un potere emendativo privilegiato, l’impossibilità per i singoli parlamentari di sub-emendare le proposte del Governo o del Comitato, la proibizione per i parlamentari in dissenso con i propri gruppi di presentare propri emendamenti, le deroghe previste ai Regolamenti di Camera e Senato, costituiscono altrettante scelte che umiliano e  comprimono l’autonomia e la libertà dei parlamentari e quindi il ruolo e la funzione del Parlamento.

Vi chiediamo ancora che i cittadini possano liberamente esprimere il loro voto su progetti di revisione chiari, ben definiti e omogenei nel loro contenuto.

L’indicazione generica di sottoporre a revisione oltre 69 articoli della Costituzione, contrasta con questa esigenza e attribuisce all’istituendo Comitato parlamentare per le riforme costituzionali indebiti poteri “costituenti” che implicano il possibile stravolgimento dell’intero impianto costituzionale.

Non si tratta di un intervento di “manutenzione” ma di una riscrittura radicale della nostra Carta fondamentale non consentita dalla Costituzione, aperta all’arbitrio delle contingenti maggioranze parlamentari.

Chiediamo che nell’esprimere il vostro voto in seconda lettura del provvedimento di modifica dell’articolo 138, consideriate che la maggioranza parlamentare dei due terzi dei componenti le Camere per evitare il referendum confermativo, in ragione di una legge elettorale che distorce gravemente e incostituzionalmente la rappresentanza popolare, non coincide con la realtà politica del corpo elettorale del nostro Paese. Rispettare questa realtà, vuol dire esprimere in Parlamento un voto che consenta l’indizione di un referendum confermativo sulla revisione dell’articolo 138.

Vi chiediamo infine di escludere dalle materie di competenza del Comitato per le riforme costituzionali la riforma del sistema elettorale che proprio per il suo significato politico rilevantissimo ha un effetto distorsivo nell’ottica della revisione costituzionale.

E’ in gioco il futuro della nostra democrazia.

Assumetevi la responsabilità di garantirlo.

Per firmare la petizione clicca sull’icona: 


Grazie a tutti,

@redazione +InfoLab0.1

Chiamiamola tortura: per l’introduzione del reato nel codice penale italiano

sabato, Agosto 3rd, 2013
Avevo già in almeno altre due occasioni trattato il tema “Tortura” per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale.* in Italia, ed oggi torno a chiedere 5 minuti del vostro tempo per firmare una petizione proposta da Associazione Antigone.
Qui sotto vi riprongo l’appello che comunque ritroverete sul sito. Spero sinceramente che chiunque di voi legga questo articolo firmi anche la petizione. 
Grazie a tutti per la collaborazione, 
redazione +InfoLab0.1 
– APPELLO –
Chiamiamola tortura: per l’introduzione del reato nel codice penale italiano (scarica il documento PDF). In Italia la tortura non è reato. 





 

In assenza del crimine di tortura non resta che l’impunità.La violenza di un pubblico ufficiale nei confronti di un cittadino non è una violenza privata. Riguarda tutti noi, poiché è messa in atto da colui che dovrebbe invece tutelarci, da liberi e da detenuti.
Sono venticinque anni che l’Italia è inadempiente rispetto a quanto richiesto dalla Convezione contro la tortura delle Nazioni Unite, che il nostro Paese ha ratificato: prevedere il crimine di tortura all’interno degli ordinamenti dei singoli Paesi.
Quanto accaduto nel 2001 alla scuola Diaz ha ricordato a tutti che la tortura non riguarda solo luoghi lontani ma anche le nostre grandi democrazie. Il caso di Stefano Cucchi, la recente sentenza di un giudice di Asti e tanti altri episodi dimostrano che riguarda anche l’Italia.
Per questo chiediamo al Parlamento di approvare subito una legge che introduca il crimine di tortura nel nostro codice penale, riproducendo la stessa definizione presente nel Trattato Onu. Una sola norma già scritta in un atto internazionale. Per approvarla ci vuole molto poco.

Qui sotto riporto il link per firmare la petizione. Grazie!!!

Osservatorio Antigone  Chiamiamola tortura: per l’introduzione del reato nel codice penale italiano









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+InfoLab0.1 

Lo Stato abbandona Valeria Grasso togliendole i contributi

venerdì, Agosto 2nd, 2013
L’amara scoperta della testimone di giustizia, inserita nel programma di protezione.

Valeria Grasso

Che Stato è quello che abbandona i testimoni di giustizia togliendo i contributi previsti dal programma protezione senza neanche avvisare? 

E’ questa la domanda che sorge spontanea una volta che si viene a conoscenza di quanto accaduto all’imprenditrice palermitana Valeria Grasso (foto).
Sono due anni ormai che è entrata nel programma di protezione testimoni dopo che ha avuto il coraggio di ribellarsi al gioco del racket facendo arrestare i suoi estorsori, appartenenti al clan Madonia fra cui Maria Angela Di Trapani.

Con i suoi tre figli vive in località protetta dove ha vissuto per sette mesi in un albergo, prima di approdare in un appartamento. Persino qualche giorno fa si è recata a vederne degli altri anche perché la famiglia ha bisogno di stabilità e per i figli Valeria Grasso è disposta a fare di tutto.
Nell’ultimo anno, alla difficoltà che comporta il vivere sotto programma di protezione si sono aggiunti nuovi problemi con lo Stato che le aveva trattenuto alcune somme dall’indennità mensile che la  testimone di giustizia riceveva. Una vicenda già denunciata pubblicamente da Valeria Grasso alla fine dell’anno scorso e che riguarda il periodo trascorso in albergo.

Non solo. Da gennaio le è stata tolta l’indennità relativa alla figlia, Margherita, che è dovuta tornare a Palermo per curarsi dalla depressione in cui era caduta proprio a causa dei traumi subiti in questi anni. Ed ora una nuova beffa. L’indennità è stata tolta per intero senza che la stessa Valeria fosse stata avvisata. Lo ha dovuto scoprire da sola, con una telefonata. “E’ davvero una storia brutta, pericolosa, inquietante e che lascia davvero senza parole – dice la stessa testimone di giustizia – Mi sento davvero presa in giro dallo Stato. Due giorni fa appena sono stata accompagnata a vedere delle abitazioni in località protetta e sono venuta con mia figlia Margherita, che dopo tutto quello che ha passato ha bisogno di un luogo tranquillo in cui poter vivere. Abbiamo dovuto fare tutto in giornata con viaggio d’andata e di ritorno stabilito dal programma di protezione”. Ma non è questo il problema. “Oggi, come sempre ad ogni inizio mese, sono andata a controllare se ci erano stati già versati il contributi previsti dal programma di protezione – prosegue la Grasso – Ebbene nella carta erano presenti solo 8 euro. Immediatamente ho chiamato chi di dovere e dopo una verifica sono venuta a sapere che mi era stato sospeso il contributo di sopravvivenza.
E io, che non lavoro da un anno e mi trovo mio malgrado a dover andar via dalla mia terra, come dovrei fare con i miei tre figli a carico? E’ questo il modo in cui lo Stato ha intenzione di proteggere chi ha scelto la legalità denunciando reati? Io voglio sapere il motivo per cui mi è stato tolto l’accredito e per quale motivo non sono stata avvisata ma devo venirlo a sapere quasi casualmente. Io voglio che si faccia chiarezza su questo e per farmi ascoltare sono disposta anche a gesti estremi se necessario”.
Quindi aggiunge: “Non mi pento della scelta fatta e cioè, quella di denunciare i miei estorsori. Neanche i miei figli me lo hanno fatto mai pesare, anzi si sono sempre detti orgogliosi. Neanche mia figlia Margherita, nonostante tutto quello che ha vissuto e sta vivendo. Ma se è giusto che, ancora oggi, vada in giro per l’Italia a incontrare tante persone per dire loro quanto sia importante non pagare il pizzo, è altrettanto importante dirgli come stanno le cose. Il Programma di protezione per i testimoni di giustizia non funziona perché ci sentiamo lasciati soli. Non ne faccio una questione di soldi, i miei figli avranno sempre da mangiare in qualche modo. Durante il periodo in cui mia figlia è stata male, a parte gli amici ed i compagni di lotta da nessuno mi è stato chiesto se avessi bisogno di qualcosa. E anche questo è importante se si vuole convincere ad un testimone di giustizia che ha fatto la scelta giusta.
In questo modo più che un programma di protezione sembra una punizione, una distruzione per chi denuncia. Io ho solo fatto il mio dovere di cittadina ed è così che veniamo trattati? Mi chiedo se il Ministro Cancellieri è al corrente di questa situazione. Il messaggio che passa attraverso queste azioni è devastante. In passato non ho mai detto certe cose anche per rispetto della privacy della mia famiglia ma ora denuncio queste situazioni perché è giusto che si sappia. Intanto oggi sono stata in Procura per denunciare quanto accaduto. Ma io vado avanti e se questa deve essere la situazione tanto vale che non torno più nella località protetta. Tanto vale che resto dove voglio stare, ovvero nella mia terra e nella mia città. Pur sapendo i rischi che corriamo io e la mia famiglia. Qualche giorno fa mia figlia, di appena 11 anni, ha ricevuto una telefonata anonima in piena notte sul cellulare dove qualcuno in siciliano le ha detto “So chi sei e so chi è tua madre”. Un fatto questo che ho già denunciato agli organi inquirenti. Noi testimoni di giustizia chiediamo solo rispetto. Non è una questione di soldi ma di dignità di essere umani. Perché sono consapevole che la condanna a morte ce l’avrò per sempre ma non posso permettere che venga calpestata”.

FONTE: Antimafiaduemila art. di Aaron Pettinari

20 anni di razzismo in Italia

giovedì, Agosto 1st, 2013
Perché razzisti ignoranti continuano a prosperare nell’Italia multiculturale?

L’Italia sta cambiando ma la “battuta” razzista sul ministro Cécile Kyenge dimostra perché il progresso è un processo lento e difficile.

“Amo gli animali, ma quando la vedo, non posso non pensare a un orango”. Sono queste le parole pronunciate dal politico italiano Roberto Calderoli su Cécile Kyenge, il ministro nero dell’Integrazione, in occasione di un recente festival organizzato dal suo partito, la Lega Nord. E su Kyenge, chiamata a ricoprire la carica di ministro ad aprile, Calderoli ha aggiunto che “forse dovrebbe fare il ministro nel suo Paese. È anche lei a far sognare l’America a tanti clandestini che arrivano qui”.

L’uscita di Calderoli è solo l’ultima di una lunga serie di commenti razziste rivoltanti espressi da esponenti politici e altre personalità appartenenti a tutto lo spettro politico. Che lo si creda o no, lo stesso Calderoli ha puntualizzato che la sua era solo “una battuta” e che “non voleva essere razzista”. Cosa sta succedendo? Perché la nomina di Kyenge ha scatenato un tale impeto di razzismo e odio?

Quando sono arrivato in Italia nel 1988, a Milano, gli immigrati si contavano sulle dita di una mano. Le cose hanno iniziato a cambiare negli anni ’90 e negli anni 2000, quando più di 4 milioni di lavoratori stranieri ha messo piede in Italia per dedicarsi prevalentemente, almeno all’inizio, a lavori non specializzati nel contesto di un’economia in forte espansione. L’invecchiamento della popolazione e la ricchezza crescente hanno fatto così registrare un’impennata nella domanda di addetti alle pulizie, collaboratori domestici e manodopera varia da impiegare in lavori umili a cui la maggior parte degli italiani non desiderava più dedicarsi.

Dal sistema politico questi immigrati erano praticamente esclusi. Le rigide leggi sulla cittadinanza, poi, avevano reso estremamente difficile per la seconda e la terza generazione, la cosiddetta generazione Balotelli, acquisire una qualsiasi forma di diritto. Persino i nati in Italia potevano acquisire lo status di italiani solo al compimento del diciottesimo anno di età. È in questo contesto che la Lega Nord è giunta al potere, guadagnando una posizione di primo piano.

Kyenge è giunta in Italia nel 1983. Oculista, nel 1994 ha sposato un italiano e in Italia sono nate e cresciute le due figlie. Italiana e nera, il ministro ha promesso di riformare le leggi italiane sulla cittadinanza, un cambiamento a cui il centrodestra italiano si oppone strenuamente.

Agli inizi, la Lega si è attestata come partito che ha fatto dell’anti-politica e della crociata contro il mezzogiorno d’Italia il suo cavallo di battaglia, affermandosi soprattutto nelle province dell’Italia settentrionale. Negli anni ’90, salita al potere, ha amministrato un numero considerevole di città settentrionali, compresa Milano, e grazie all’alleanza con Silvio Berlusconi ha finito per governare il Paese. Lo stesso Calderoli è stato ministro e quindi vicepresidente del Senato, una delle più importanti cariche istituzionali del sistema politico italiano.

La Lega è sempre stata un partito razzista, fomentando il conflitto etnico e religioso tutte le volte che si è presentata l’occasione. Sono così numerosi i commenti e le azioni di evidente stampo razzista di cui la Lega si è resa protagonista che sarebbe possibile compilare un’intera enciclopedia. È capitato per esempio che il sindaco di un’importante città italiana abbia chiesto di vestire gli immigrati come animali per poter dar loro la caccia, o che un altro esponente della Lega, di recente, abbia accolto con entusiasmo la notizia della morte di immigrati periti nel tentativo di raggiungere le nostre coste via mare.

Da più di 20 anni questo genere di commenti non conosce tregua. Il fondatore ed ex leader della Lega,Umberto Bossi, ha parlato di un luogo chiamato “terra di Bongo Bongo”. Il razzismo è la politica ufficiale del governo, imposta dall’alto, tollerata a tutti i livelli, anche dalla sinistra italiana che, per un po’, con la Lega ha stretto un’alleanza scellerata. Ma sulla definizione di razzismo c’è divergenza di vedute. Secondo Calderoli, paragonare una donna nera a un orango è “una battutina” se non una “battuta simpatica”. E quando in una vignetta Mario Balotelli è stato ritratto come King Kong, in tanti non hanno nemmeno visto il problema.

Oggigiorno si assiste ad un cambiamento. Le polemiche hanno iniziato a modificare il linguaggio utilizzato. Persino i principali quotidiani di qualità hanno adottato a lungo un linguaggio razzista per indicare con un cliché gli immigrati. Per anni il Corriere della Sera ha usato il termine vu cumprà per etichettare quei venditori ambulanti che, stranieri, non riuscivano a parlare correttamente l’italiano.

Azioni individuali, come quella del calciatore Kevin Prince Boateng che, bersagliato da cori razzisti, ha abbandonato il campo (sorpresa sorpresa, ai cori si era unito anche un militante della Lega), hanno sollevato un ulteriore vespaio di polemiche. Ma il progresso è doloroso e lento e l’esclusione degli immigrati da qualsiasi forma di partecipazione politica e dal potere in generale li rende vulnerabili agli attacchi e allo sfruttamento.

L’Italia non è un Paese razzista, ma è un Paese dove il razzismo viene tollerato e dove una persona come Calderoli ricopre cariche istituzionali. Tuttavia, il razzismo non vincerà perché il futuro è con l’Italia di persone come Balotelli e Kyenge. L’Italia è un Paese multiculturale, che piaccia o no. E quando vedo Roberto Calderoli, non posso non pensare a un razzista ignorante.

*Traduzione di Grazia Ventrelli e Sara Angelucci per “italiadallestero.info

*Articolo originale di  John Foot su “The Guardian” del 15 luglio 2013

Tortura, l’Italia è sola superata anche dal Vaticano

mercoledì, Luglio 31st, 2013

La decisione del Papa di cancellare la pena dell’ergastolo e di introdurre nell’ordinamento penale vaticano il reato di tortura, adeguandosi alle norme internazionali sancite dalla Convezione delle Nazioni Unite, è un segnale. Un segnale ai governi del mondo, oltreché a quelle gerarchie ecclesiali troppo spesso silenti davanti alla violazione dei diritti umani, se non addirittura conniventi con quei
regimi ma anche quelle democrazie che la praticano, più o meno sistematicamente. L’Italia, dove la tortura non è ancora punibile, è uno di questi Paesi. Anche se a ricordarlo ieri è stata solo l’associazione Antigone, Rifondazione comunista e un paio di parlamentari Pd.






Ratificata da 25 anni la Convenzione Onu contro la tortura, malgrado i richiami e le sanzioni europee, malgrado le sentenze di due diversi tribunali arrivate negli ultimi mesi – violenze a Bolzaneto e morte di Stefano Cucchi – che hanno annotato le difficoltà processuali derivanti dalla mancanza della fattispecie di reato nel nostro ordinamento, l’Italia continua a tergiversare. L’ultimo passo sulla via del rispetto delle regole internazionali lo abbiamo fatto nell’autunno scorso, quando il governo Monti ha ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura (Opcat), depositato poi nell’aprile 2013 ed entrato in vigore un mese dopo. Un Protocollo che conferisce al Comitato Onu contro la tortura poteri effettivi e non più simbolici – di ispezione e monitoraggio – e impone ai Paesi aderenti l’istituzione entro un anno del National preventive mechanism (Npm), un meccanismo interno di controllo e garanzia dei diritti umani in tutti i luoghi di detenzione: non solo carceri ma anche caserme, centri per immigrati, reparti sanitari protetti, ecc. Entro maggio 2014, dunque, l’Italia dovrebbe anche dotarsi di uno strumento di questo tipo, come può essere l’istituzione del Garante nazionale dei detenuti, magari conferendo a questa figura maggiori poteri rispetto a quelli goduti dai garanti regionali. 
Eppure non sono pochi i disegni di legge depositati in Parlamento: al Senato c’è quello di Felice Casson che nella scorsa legislatura si è bloccato ai primi passi in commissione Giustizia, e alla Camera ce ne sono almeno un paio, firmati da Luigi Manconi, Sel, M5S. Ma l’accordo tra le forze politiche è difficile da raggiungere, soprattutto su un punto: delitto generico o delitto proprio del pubblico ufficiale? Da noi è forte l’opposizione di certi sindacati di polizia e delle lobby militari a inquadrare la fattispecie di reato nell’ambito del delitto specifico, ossia commesso da persona nel ruolo di rappresentante dello Stato. E certa politica non riesce a emanciparsi. 

Anche su questo punto siamo sempre più isolati, in Europa. Agli antipodi dei Paesi dove la tortura è un delitto specifico (Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria), come scrive Patrizio Gonnella nel suo «La tortura in Italia» edito da DeriveApprodi. E ora superati anche dal Vaticano. 

È evidente che il Parlamento ha bisogno di una spinta per procedere sulla via della civiltà giuridica. Il disegno di legge di iniziativa popolare messo a punto da Antigone, Fuoriluogo, Unione delle camere penali e altre associazioni, ha quasi raggiunto le 50 mila firme necessarie. Si potrebbe partire da qui, per scuotere la politica appaltata o distratta da problemi giudiziari eccellenti.


FONTE: Il Manifesto

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DIAZ: la lettera di Mark Covell al giudice del tribunale di sorveglianza di Genova

martedì, Luglio 30th, 2013
Mark Covell

Qualche giorno fa è stata resa pubblica la lettera che Mark Covell, giornalista inglese finito in coma dopo la “macelleria messicana” delle scuole Diaz, ha spedito al tribunale di sorveglianza di Genova.
Ve la voglio qui riproporre sperando che nel frattempo venga fatta GIUSTIZIA .




       



         Dear Dr. Giorgio Ricci,

Mi chiamo Mark Covell. Sono il giornalista inglese che fu quasi ucciso nell’irruzione alla Scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. Mi permetto di inviarLe questa lettera per esprimere ciò che provo a proposito delle condanne inflitte con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, lo scorso Luglio. So che ci saranno diverse udienze per decidere se i poliziotti condannati dovranno scontare la pena in carcere o no.
Nonostante non sia una pratica usuale per un giudice ricevere una lettera del genere, Vi scrivo per farVi sapere esattamente cosa provo, come una delle vittime più conosciute, e ciò che tutti noi della Diaz ci aspettiamo di veder fare, in nome della giustizia.
Chiedo a tutti coloro che considereranno il contenuto di questa lettera di comprendere che noi, vittime della Diaz, abbiamo vissuto un inferno che non si è fermato solo alla notte della “macelleria messicana”. Abbiamo visto da lontano, e talvolta anche da Genova o da Roma, queste persone condannate venire promosse di volta in volta, fino al punto in cui hanno potuto usare gli strumenti e le risorse del loro lavoro per intimidire, minacciare e mettere sotto sorveglianza le vittime di Diaz. Essi hanno inoltre ostacolato la giustizia, distrutto le prove ed eretto un muro di silenzio che abbiamo dovuto fronteggiare per anni. Non mi risulta che siano mai state pronunciate parole di comprensione o di scuse nei confronti delle loro vittime, né che vi sia stata resipiscenza rispetto ai fatti commessi.

Per quasi dodici anni, tutti noi della Diaz abbiamo visto uomini come Berlusconi e altri cambiare le leggi e le regole del gioco, in modo da permettere ai poliziotti di sfuggire a qualsiasi sanzione per le loro azioni nella notte della Diaz, come ad esempio la riduzione della prescrizione e l’introduzione di leggi volte ad assicurare l’immunità delle Forze di Polizia condannate a pagare una qualsiasi forma di risarcimento.
Ma, nonostante ciò che Berlusconi e altri politici hanno fatto, i superpoliziotti condannati della Diaz mantengono la loro buona parte di colpa e responsabilità.
Inoltre, sembra che i diritti dei criminali poliziotti condannati siano sempre stati tenuti in maggiore considerazione rispetto ai diritti delle vittime. Mettendo da parte tutte le promozioni, ad alcuni di questi uomini è stato permesso di dichiararsi nullatenenti per evitare di pagare un solo euro a titolo di risarcimento a noi vittime, lasciando l’onere ai contribuenti italiani. Inoltre, grazie all’indulto, nessuno di loro finora ha mai scontato un solo giorno di carcere, per i loro crimini.
A proposito dell’indulto, posso solo dire che è stato enormemente ingiusto vedere poliziotti che hanno scritto la pagina più nera della storia della Polizia Italiana, distruggendone la reputazione, essere autorizzati a beneficiare di uno sconto di pena significativo. Nel mio paese l’indulto è concesso solo a detenuti che hanno commesso reati minori e che comunque hanno già scontato una parte della pena. Non è concesso ad alti comandanti della polizia, che sono stati condannati per reati gravi come percosse, tentato omicidio delle vittime, falsificazione delle prove (vale a dire due bottiglie molotov), falsi arresti, false dichiarazioni, abusi e torture.
A proposito dei falsi arresti e delle false dichiarazioni, desidero sottolineare che il falso arresto per associazione a delinquere di vittime gravemente ferite è stato compiuto con il preciso intento di mandare in carcere le vittime per almeno 10-15 anni sulla base di false accuse e coprire ciò che Amnesty International ha chiamato “la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dalla Seconda Guerra Mondiale”.
E qui stiamo discutendo se Gratteri e altri poliziotti condannati debbano scontare una pena di meno di due anni!
Dov’è il confronto? Come una delle vittime gravemente ferite della Diaz, vorrei vedere questi poliziotti scontare in prigione esattamente lo stesso periodo di tempo che loro stessi hanno tentato di infliggere a noi, sulla base di prove e dichiarazioni assolutamente false.
Spesso mi domando cosa sarebbe successo se il piano della polizia alla Diaz fosse stato portato a termine; sarei stato ingiustamente condannato e avrei scontato 15 anni in una prigione italiana, senza nessuna pietà. Quasi 12 anni dopo quella fatidica notte, ogni misericordia disponibile viene dispensata solo a favore di questi poliziotti, da un sistema legale che è incapace di proteggere i diritti delle vittime.
Il mio caso, in particolare, è stato archiviato perché nessuno dei molti poliziotti e funzionari presenti si è fatto avanti per testimoniare. A quanto pare nessuno ha visto o ha sentito, nonostante in quel momento io fossi l’unica persona in strada, sulla quale si sono accaniti i poliziotti. Vi prego di consultare la richiesta e il decreto di archiviazione del procedimento aperto per tentato omicidio in mio danno, se desiderate acquisire familiarità con il mio caso personale.

Anche se il desiderio dei poliziotti condannati di mandare le vittime in carcere per coprire i loro crimini non si è realizzato, le vittime hanno comunque dovuto subire una realtà se possibile ancora più insidiosa.
La maggior parte delle vittime internazionali del raid alla Diaz sono state illegalmente deportate nei loro paesi di origine, dove sono state accusate dai loro governi, e talvolta anche da amici e parenti, di essere criminali ed hanno dovuto affrontare un particolare tipo di discriminazione. I livelli di povertà e la profondità del danno sono estremamente elevati tra le vittime della Diaz. Alcuni di noi si sono ridotti ad essere senzatetto e a vivere per strada, ed è stato estremamente difficile essere trattati come terroristi dalle autorità del proprio paese, solo perché tutti hanno creduto alle menzogne raccontate da questi superpoliziotti condannati.
Per quelle vittime che non si sono fatte intimidire dalla prepotenza, dalle menzogne e dall’odio puro della polizia e che hanno osato tornare a Genova per lo svolgimento dei processi, è stato come vivere in una guerra in cui entrambe le parti si scrutano l’un l’altra attentamente, mentre il processo va avanti. Ogni volta che vedo poliziotti italiani divento incredibilmente nervoso. E’ così per tutti noi. Per noi le forze dell’ordine e i tutori della legge rappresentano la paura, il dolore, la tortura, il controllo totale della popolazione.
La vita per me a Genova è stata ed è sempre molto intensa. Viviamo tutti la paura che un giorno uno di noi incontrerà uno dei poliziotti della Diaz e le minacce già date saranno realizzate. Non riesco mai a rilassarmi quando sono in Italia. La maggior parte di noi si sente come se dovesse giocare perennemente al gioco del gatto col topo, per rimanere in vita qui.
E’ proprio per l’arroganza e per la completa mancanza di rimorso dei comandanti condannati, che dovrebbe essere applicata la massima sanzione possibile. Da parte dei condannati non ci sono state scuse significative né tantomeno alcun senso di rimorso. Non c’è stata e non c’è ancora nessuna collaborazione da parte loro sulle questioni in sospeso del caso Diaz. Tutti, in diversa misura, hanno eluso le domande, sono rimasti in silenzio nonostante il loro coinvolgimento fosse testimoniato da prove schiaccianti e hanno raccontato una marea di bugie alla stampa, rifiutandosi però di testimoniare in tribunale. Solo dopo la loro condanna in Cassazione alcuni di loro hanno dichiarato la propria innocenza, come Fournier e Canterini. Per le vittime della Diaz, i loro deboli tentativi per evitare la prigione, sono l’ultimo modo che hanno per sfuggire alle loro responsabilità per il raid.
Per quanto riguarda la verità su ciò che è realmente accaduto, la Procura ha affermato che c’è stato un vero e proprio muro di silenzio al quale, per una regola non scritta, ogni poliziotto si è attenuto. Questo muro di silenzio dai comandanti condannati, da tutta la polizia italiana e dal Ministero dell’Interno è assordante per le vittime della Diaz. Esso ha permesso ai poliziotti condannati, lungi dal mostrare rimorso o colpevolezza, di intimidire, mentire, ostacolare le indagini e distruggere le prove, nel tentativo di sfuggire all’azione penale. Ha inoltre impedito a me e ad altre vittime di avviare un processo per tentato omicidio, contro i già condannati superpoliziotti.
Infine, come detto sopra, l’irruzione alla Diaz è stata la pagina più nera della storia della polizia italiana. La sentenza definitiva della Corte di Cassazione deve essere accolta e, dal punto di vista delle vittime, ai comandanti di polizia condannati si dovrebbe applicare la massima sanzione possibile, in modo che ciò serva da esempio ad altri poliziotti su cosa non fare durante un’incursione per la ricerca di armi (Tulps 41).
In conclusione, prego il Tribunale di prendere in considerazione anche la voce delle vittime nella decisione che dovrà prendere.
          Come post-scriptum, trascrivo di seguito questa poesia chiamata ‘Total Eclipse’. E’ stata scritta da un’anonima vittima della Diaz nel 2006.

Yours sincerely

                  Mark Covell




Total Eclipse


I don’t know what is happening to me. The world around me collapsed. I have lost it. This will never be over. It will always stay like this. I will never be able to dance again. I will never be happy again. I will never love again. I will never laugh again. My world is pain and tears. My world is loneliness. My world is a black tower in a dark sea. My life is gone. Is this life still worth living? Loneliness. Pain, deeper than ever before. Why don’t I just go? Why don’t I just stop moving in the middle of the street.

Looking down the bridges. I could make it stop. Make this nightmare be over. So lonely, so lonely. I am alone. Alone in this sea of pain, alone with my screams. It nearly tears me apart. Nobody cares. I am scared of people. Can’t face seeing anybody. Hiding away. What if they ask how I am doing and I don’t know what to say. There are no words, only tears and screams. I can’t scream my pain in your face. So I hide.

My house is not my house anymore. How did my friends turn into people I am scared off? I don’t dare to leave my room. The risk to meet somebody on the corridor is too high. I am alone and I will never be happy again. Something else has taken control over me. A black ghost follows my steps and whenever he feels like, he throws me on the floor. It can happen any moment. I don’t dare to go out anymore.

I can lose it any moment and end up crying and winding in cramps on the floor. What if that happens on the street? I rather stay in my bed. What is there to do for me anyway? Nothing makes sense anymore. I cry. Cry like I have never cried before. Something is tearing my stomach out of my body. I nearly puke. I am not myself anymore. I am everybody. Every prisoner. Every body beaten up by the police. Every body who gets tortured. This feeling does not stop. Weeks, and weeks. I feel ashamed. I don’t want to appear weak. I don’t want to admit what they did to us had such an impact on me. Now I am nothing. Nobody shall see me like this

Aldrovandi, tornano liberi tre degli agenti condannati. Il sindacato: “Bentornati”

lunedì, Luglio 29th, 2013

Scatta il fine pena per Paolo Forlani e Luca Pollastri, due dei quattro poliziotti in carcere per la morte di Federico Aldrovandi, il diciottenne morto il 25 settembre 2005 a Ferrara.  Monica Segatto agli arresti domiciliari tornerà in libertà nei prossimi giorni. A fine agosto sarà il turno di Enzo Pontani. 
Il Coisp: “E’ un giorno speciale. Colleghi trattati come criminali incalliti”
 

Ricordatevi questi volti
Tornano liberi tre dei quattro agenti condannati per il caso Aldrovandi. E il primo commento è quello di Franco Maccari, segretario generale del Coisp, Sindacato Indipendente di polizia:

“Domani 29 luglio sarà un giorno speciale. Non solo perchè finalmente torneranno completamente liberi i colleghi travolti dalla drammatica vicenda, ma anche perchè registreremo il primo caso in Italia di condannati per mera colpa che scontano fino all’ultimo secondo della loro pena non in libertà. Finalmente la storia ha trovato qualcuno a cui far sentire tutta la severità della legge che diventa spietatezza; quando si deve rispondere all’onda emotiva che si leva dalla piazza ed alla voglia di vendetta di qualcuno che evidentemente conta più degli altri”.


Scatta il fine pena per Paolo Forlani e Luca Pollastri, due dei quattro agenti di polizia in carcere per la morte di Federico Aldrovandi, il diciottenne morto il 25 settembre 2005 a Ferrara durante una colluttazione con gli agenti che lo fermarono, poi condannati a 3 anni e 6 mesi per eccesso colposo nell’omicidio colposo del ragazzo. 
I due agenti stavano scontando, loro in carcere mentre gli altri due colleghi Monica Segatto ed Enzo Pontani ai domiciliari, i sei mesi di pena residua, dopo l’ applicazione e lo sconto dell’indulto alla pena base. Dunque dopo le pratiche di rito, con le notifiche dell’ordine di scarcerazione, per il fine pena, usciranno dal carcere dell’Arginone Luca Pollastri e Paolo Forlani. Monica Segatto è da tempo agli arresti domiciliari (anche per lei comunque scatterà il fine pena in questi giorni) mentre per Pontani, la cui condanna esecutiva e la conseguente carcerazione scattò quasi un mese dopo gli altri, per un cavillo tecnico, la libertà arriverà a fine agosto.
Con il fine pena si esaurisce la fase penale (processi, condanne e pene) del caso Aldrovandi, mentre restano ancora da applicare le sanzioni amministrative decise dal ministero degli Interni con il provvedimento disciplinare a carico dei quattro agenti, che prevedeva la sospensione di sei mesi dal servizio. Per i quattro agenti è ancora pendente il giudizio davanti alla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna, poiché la procura regionale della magistratura contabile contesta ai quattro poliziotti un’ipotesi di danno patrimoniale per il risarcimento che il ministero dell’Interno ha pagato ai familiari del giovane ferrarese: una cifra che si avvicina ai due milioni di euro motivata dai danni materiali e di immagine che vi sarebbero stati per la polizia e l’istituzione.
“Rimane”, ha continuato Franco Maccari, “e rimarrà sempre, come monito per tutti gli altri appartenenti alle Forze dell’Ordine, il trattamento da criminali incalliti riservato ai colleghi”, aggiunge Maccari, “gli unici entrati in carcere in Italia per scontare una condanna subita per una contestazione colposa negli ultimi 40 anni”. Maccari ha stigmatizzato il trattamento subito dagli agenti “a fronte di indegne concessioni di agevolazioni e trattamenti benevoli quando non di favore a criminali veri” mettendo l’accento sulle “storture di un sistema che sembra governato dai media invece che dalle leggi, un sistema in cui il boss dei boss Provenzano può lasciare il carcere duro (anche se le sue condizioni non cambieranno di fatto perchè resterà semplicemente affidato alle cure mediche come già è) perchè non ce ne sarebbero più i presupposti, ma quattro Poliziotti possono essere tenuti in carcere anche se non ce ne sono i presupposti”.



FONTE: Il Fatto Quotidiano


                                                     

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