Archive for the ‘Controinformazione’ Category

Istanbul, “donne incinte spettacolo ignobile”

lunedì, Luglio 29th, 2013

#resistpregnant
 Decine di donne incinte di Istanbul sono scese in piazza ieri per protestare contro un avvocato e pensatore sufi che nel corso di uno show televisivo ha detto che le donne con il pancione in pubblico sono uno spettacolo “ignobile”. In piazza Taksim e a Kadikoy, sulla sponda asiatica del Bosforo, le donne in dolce attesa e i loro mariti, con cuscini sotto la maglietta, hanno sfidato l’ira del pensatore islamico Omer Tugrul Inançer “andandosene in giro” e gridando slogan come “il nostro corpo è nostro”.
 “Annunciare una gravidanza con uno squillo di trombe è contro la nostra civiltà. 

Non dovrebbero andarsene in giro per la strada con quelle pance. Prima di tutto è contrario all’estetica” ha detto Inançer durante un programma quotidiano serale per la fine del digiuno del ramadan sulla rete tv TRT.  “Dopo sette o otto mesi di gravidanza le future madri escono con i loro mariti in auto per prendere un po’ d’aria. E vanno fuori casa alla sera. Ma oggi sono tutte in televisione. E’ ignobile, non è realismo, è immoralità” ha detto Inancer. Che poi ha ribadito la sua posizione all’agenzia Anadolu. “Ti sposi e resti incinta. Va tutto bene, ma questo non può essere un motivo per il quale te ne vai in giro roteando la pancia. Questa immagine non è estetica. Sono cose da venerare e le cose da venerare vanno trattate con rispetto”. Secondo Inancer poi le aziende concedono permessi di maternità alle loro dipendenti proprio per consentire loro di restarsene a casa. Parziale presa di distanza da Inancer dalla Direzione per gli affari religiosi: “nell’Islam non c’è isolamento nei confronti delle donne e la maternità è un dono” si legge in un comunicato della Direzione. Tuttavia “le donne incinte dovrebbero prestare maggiore attenzione al loro modo di vestire, ogni donna dovrebbe farlo. Non dovrebbero indossare abiti che ne mostrino il ventre o le spalle”.

Subito dopo le sue parole su Twitter è nato l’ hashtag #resistpregnant. Altre proteste simboliche si preannunciano per i prossimi giorni.Anche l’opposizione non è rimasta a guardare, gridando a un nuovo segnale della “islamizzazione rampante” della Turchia sotto Erdogan. “Devono smetterla di prendersela con le donne in questo Paese. Se potessero, regolamenterebbero anche l’aria che le donne respirano”, ha tuonato Aylin Nazliaka. “Inancer dice che è sgradevole vedere donne incinte per strada. 

Ma non è sgradevole invece sentire il premier dire che devono avere almeno tre figli?” ha invece protestato il nazionalista Mehmet Oktay, che ha anche accusato la Trt di essere diventata un organo di propaganda del governo islamista.

FONTE: Contropiano.org

                                                                                                                                          @InfoLab0.1

Canale di Sicilia: 31 morti mai esistiti

domenica, Luglio 28th, 2013

Sono 31 i migranti che venerdì pomeriggio hanno conosciuto uno dei modi in assoluto più orribili per morire. Con l’angoscia di chi sa che è finita, in pochi secondi, e nel silenzio del mare aperto. Un silenzio assordante che rende vana qualunque sguaiata richiesta di aiuto. Poi giù, in fondo al mare. A rendere ancora più grave questa atrocità si è unito il silenzio rivoltante dell’indifferenza. Per la stampa nazionale italiana, quella dello stesso Paese che è riuscito a salvare 22 persone delle 53 naufragate, queste vittime non esistono. Non sono mai esistite. 


Sono morti senza mai essere stati vivi per molti tra i nostri più autorevoli organi di informazione.
Alle 20:30 di un qualunque sabato sera italiano sono arrivati 21 uomini e una donna nei cui occhi si poteva ancora leggere tutto l’orrore appena vissuto. Molti di essi, a bordo del guardacoste che li ha accompagnati nel “porto non sicuro” di Lampedusa, indossavano le tute da lavoro che l’equipaggio della petroliera Gaz United gli ha offerto quali unici indumenti asciutti a disposizione. Alcuni scendono con evidenti ferite, doloranti. 
Altri evidentemente sotto choc. Sono di varie nazionalità ma tutti della regione centro-occidentale dell’Africa. Partiti dal porto di Al Zuwara, a qualche decina di chilometri da Tripoli, in Libia, hanno visto improvvisamente sgonfiare il gommone con cui viaggiavano dopo appena un paio d’ore di navigazione.migranti soccorsi Morti in un silenzio assordante.

Si stavano finalmente lasciando alle spalle le vessazioni, la violenza, gli stupri, tutto quello che avevano vissuto in Libia per raggiungere la “civilissima” Italia. La stessa che intanto lanciava le banane sul palco a un proprio Ministro della Repubblica per puro, stupido razzismo scatenato dal solo colore della pelle. Evidentemente non sono propensi al dialogo, a differenza dei 250 sbarcati dai guardacoste della Capitaneria di Porto appena venti minuti prima. Un ragazzo, presumibilmente nigeriano, racconta, con poche parole in un egregio inglese, come in breve hanno visto afflosciare i tubolari del gommone e si sono ritrovati in acqua. A 29 miglia dalla costa. 

Dice di aver visto i suoi compagni risucchiati uno dopo l’altro dagli abissi del Mediterraneo, sotto i propri occhi. Un altro, sempre in inglese, con un espressione quasi alienata, borbotta solo una frase: “I saw my wife drown”. “Ho visto annegare mia moglie”.



FONTE: LinkSicilia 

                                                                                                                                    InfoLab0.1

Bologna, il PD disconosce il referendum (e la scuola pubblica)

mercoledì, Luglio 24th, 2013

Virginio Merola

A Bologna qualche mese fa è successo l’impensabile. Un comitato di cittadini nato spontaneamente dal basso ha proposto un referendum per dire no al finanziamento comunale delle scuole private, in gran parte cattoliche. Per far capire come, soprattutto in un periodo di crisi e tagli, sia importante finanziare i servizi pubblici che vanno a beneficio di tutti e difendere la laicità delle istituzioni, piuttosto che lasciare in appalto certi settori al confessionalismo. E il referendum, nonostante la disparità di forze in campo e l’opposizione dei potentati locali, degli amministratori, delle istituzioni nazionali e della Chiesa, è stato vinto dal Comitato Articolo 33, sostenuto da sindacati e partiti come Idv, Movimento 5 Stelle e Sel, Rifondazione e Comunisti Italiani, e anche dall’Uaar. Un risultato che, sebbene non vincolante trattandosi di referendum consultivo e contestato per la bassa affluenza alle urne, assume un valore simbolico e apre la strada per ulteriori battaglie.



Tutto questo però al Comune di Bologna, guidato dal sindaco Virginio Merola (Pd), non interessa. Anzi, l’intenzione è quella di affossare il risultato del referendum, come scrive Alex Corlazzoli sul suo blog del Il Fatto Quotidiano. Proprio il Partito Democratico ha presentato in consiglio comunale un ordine del giorno, che sarà votato il 29 luglio, per confermare il finanziamento alle paritarie. Su questo il Pd ieri ha presentato una delibera (solo il consigliere Francesco Errani ha fatto sapere che si asterrà), con l’appoggio del Pdl. Certo, le obiezioni sono note e la questione non è semplice da gestire, ma il voto dei cittadini non può essere ignorato. Anche perché il referendum comunale è l’unico strumento di partecipazione disponibile, specie in un momento di scarsa credibilità dei partiti e della politica “di palazzo”. 

A protestare contro il tentativo del colpo di spugna a Palazzo d’Accursio sono scesi di nuovo in piazza i promotori del comitato referendario, con una veglia-staffetta in Piazza Maggiore. Anche la nostra associazione ha fatto la sua parte.

L’esperienza bolognese non può non far sorgere una riflessione sul Pd, che vorrebbe essere un partito progressista. Il Pd è nato dalla fusione tra un apparato politico ex comunista e uno ex democristiano. Tra gli accordi non scritti c’è evidentemente sempre stato il dogma della non conflittualità con le gerarchie ecclesiastiche. Quando, come sui cosiddetti temi “etici”, non si può proprio evitare, va comunque minimizzata. Se però entrano in gioco anche i costi pubblici della Chiesa, per il Pd diventa allora impossibile anche solo pensare di metterli in discussione. A costo di rischiare la farsa e l’aperta impopolarità. Ma una messa val bene Parigi, par di capire. 
Anche Bologna.

FONTE: La redazione di Uaar

Scandalo Amazon, tra illegalità e inumanità

mercoledì, Luglio 24th, 2013

É sempre un gran peccato quando qualcosa che eravamo soliti ritenere efficiente e affidabile viene scoperta essere meno ineccepibile di quanto si pensasse. Lo scandalo finito sulle prime pagine di tutti i principali quotidiani tedeschi riguarda Amazon, popolarissima compagnia di commercio elettronico americana, famosa per le sue spedizioni ultra-rapide e per il più vasto catalogo di libri acquistabili online.

Un’inchiesta della Ard, principale gruppo radiotelevisivo pubblico in Germania, ha però suscitato un clamore enorme svelando come Amazon, compagnia con un fatturato annuo da 9 miliardi di dollari e una fetta di mercato pari al 20%, permetta che i dipendenti di uno dei centri tedeschi di smistamento della compagnia vivano in condizioni a dir poco inumane.



Il reportage è stato girato nella sede di Bad-Hersfeld, nello stato federale dell’Assia, quasi perfettamente al centro dello stato tedesco e per questo motivo, svincolo fondamentale per il movimento delle merci ovunque in Europa. Durante il periodo di Natale il personale occupato aumenta in quella sede di circa 5 mila unità a causa della mole enorme di lavoro da smaltire. Ad occuparsi dell’assunzione non è la stessa Amazon, ma un’agenzia interinale che, sfruttando il nome del colosso americano, riceve migliaia di richieste all’anno. In realtà però come il reportage ha mostrato i contratti “non riconoscono il versamento di contributi sociali e, soprattutto, prevedono una decurtazione del salario del 12% rispetto a quanto promesso in origine. In quasi tutti i casi i lavoratori, ancora a digiuno di tedesco, non capiscono neppure quel che firmano, visto tutte le carte sono compilate in lingua locale”.

Ma c’è di peggio. La maggior parte degli impiegati sono di origine straniera, spesso spagnoli a causa dell’enorme tasso di disoccupazione di quel paese e nel contratto viene promesso anche l’alloggio. Questi però risultano poi essere miniappartamenti in cui vengono stipati anche in sei per stanza, con condizioni igieniche precarie, lontanissimi dal posto di lavoro che viene raggiunto con delle navette spesso sovraffollate, il cui ritardo, causato da neve o traffico, incide sullo stipendio del personale. Chi si permette di criticare, ovviamente, viene licenziato in tronco.

Quello che ha destato più scalpore però sono le connotazioni politiche delle persone destinate – full-time- ad occuparsi della sicurezza dei lavoratori. Una delle agenzie della security infatti impone ai propri dipendenti vestiti recanti la scritta H.e.s.s., certamente come Hensel European Security Services ma che tetramente ricorda anche Rudolf Hess, uno degli uomini più conosciuti ed influenti durante il periodo nazista. In più alcuni dei capi utilizzati erano della Thor Steinar, marca simbolo dei neonazisti tedeschi.

Interpellato dai giornalisti un portavoce della compagnia ha dichiarato che all’interno dell’azienda non sono ammesse discriminazioni e che i contratti a tempo determinato, tipici del periodo di Natale, sono banchi di prova del personale “nella prospettiva di un impiego a lungo termine”. Nulla di strano, insomma.

Tutto ciò però avviene in Germania, in cui ogni minimo riferimento al nazismo viene acuito e in cui una vicenda come questa riporta alla memoria le parole di Angela Merkel per le celebrazione del 27 gennaio di quest’anno: “Olocausto, la nostra responsabilità è permanente”. In realtà però pare che vicende simili non rappresentino una novità per l’azienda, poiché un’altra inchiesta, nel magazzino di Lehigh Valley, in Pennsylvania, fatta questa volta dal The Morning Call, un giornale locale, aveva portato alla luce condizioni degradanti per gli impiegati locali, con turni di dieci ore e pochi minuti di pausa.

Insomma, mentre alcuni clienti tedeschi giurano che inizieranno a boicottare la compagnia statunitense, risuona forte l’incoerenza della pioggia di critiche fatte alla Foxconn cinese per la produzione di pezzi Apple, con condizioni di lavoro molto al di sotto degli standard occidentali. 
Quale Occidente, però, non si sa.



FONTE

No Tav: Manganellate, insulti e palpeggiamenti da parte delle forze dell’ordine ai danni di un’attivista [VIDEO]

lunedì, Luglio 22nd, 2013

No Tav, la denuncia dell’attivista pisana: “Manganellate, insulti e palpeggiamenti da parte delle forze dell’ordine”



Marta “NoTav” Camposana
“Da quando mi hanno fermata a quando mi hanno portata all’interno del cantiere sono stati dieci minuti di follia. Ho ricevuto una manganellata in faccia, mi hanno toccata nelle parti intime e mi hanno insultata”. A parlare, durante la conferenza stampa organizzata dal movimento No Tav a Susa (Torino), è Marta Camposana, attivista pisana di 33 anni che è stata denunciata per resistenza.



“Le forze dell’ordine – ha raccontato – ci hanno chiusi con due cariche e bersagliati con una pioggia di lacrimogeni. Poi sono stata colpita da una manganellata alle spalle e trascinata a terra. Una volta nel cantiere ho detto che avevo bisogno di un medico, ma mi hanno nuovamente insultata e portata al pronto soccorso soltanto quattro ore dopo, alla fine delle procedure in questura, dove mi hanno denunciata solo perché avevo del Maalox e dei limoni per contrastare i lacrimogeni”.

“Gli arrestati della scorsa notte sono degli eroi”, ha sostenuto poi Nicoletta Dosio, portavoce del movimento No Tav, durante la conferenza stampa successiva agli scontri al cantiere di Chiomonte. ”Ero presente anche io – ha aggiunto – e le forze dell’ordine hanno sparato lacrimogeni ad altezza d’uomo anche sulla gente che defluiva. E’ stata usata violenza inaudita. Oggi siamo qui per dire basta”. Secondo Dosio, i pubblici ministeri Andrea Padalino e Antonio Rinaudo erano presenti all’interno del cantiere “soltanto per convalidare arresti già decisi”.

—>[VIDEO]


FONTE

Ci siamo: L’Italia è ufficialmente in vendita

domenica, Luglio 21st, 2013

Il Ministro Saccomanni, da Mosca dove partecipa al G-20, con un’intervista a Bloomberg TV, fa sapere al mondo che siamo pronti a vendere tutto quello che ci è rimasto: Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Ferrovie, Fincantieri e reti di tubi, cavi, fili ottici, ecc. (Telekom, Saipem, Terna,ecc…).




Il tutto per ridurre d’un tratto una quota consistente di debito pubblico. La pressione del debito sull’Italia arriva al suo obiettivo principe, denudare il paese del controllo delle sue imprese strategiche ancora in parte in mano pubbliche e regalarle al mercato globale, alla ricerca insaziabile di commodities tariffarie permanenti con cui spennare i cittadini nei prossimi decenni e, dall’altra parte, per cancellare gli ultimi residui di sovranità reale e politica del paese.

La colonizzazione dell’Italia sta concludendosi con il più classico degli esiti delle procedure da indebitamento previste dai manuali neoliberisti di area anglosassone, già sperimentati in ripetute occasioni nel corso degli ultimi 30 anni a discapito dei paesi dell’est Europa e del sud del mondo.

Il bel boccone sta per essere ingoiato grazie alla collaborazione attiva e fattiva della fraziona nazionale della grande borghesia globale (economico-politica), di cui il governo di larghe intese con a capo il giovane pupillo di Bilderberg e Trilaterale (che succede al professore –tecnico- di Bilderberg e Trilaterale), è l’espressione mondana e volgarizzata ad uso delle masse.

D’altra parte, se andate a rileggervi le intenzioni del giovane Letta in tempi non sospetti, vedrete che il progetto è in campo da tempo e che non è affatto casuale che proprio lui sia stato nominato premier.

La nuova colonia del sud Europa, con le spalle al muro per non aver saputo reagire alle pressioni in atto da anni e per non aver avuto la forza di far pagare il debito a chi lo ha prodotto e a coloro che ci si sono arricchiti, devolve ora il suo residuo patrimonio agli stessi soggetti: usurai internazionali e nazionali e coloro che vi orbitano attorno come satelliti locali acquisiranno i beni; con i loro introiti pagheremo gli interessi sul debito agli stessi soggetti centrali e periferici che “compreranno” le quote in vendita. Una partita di giro colossale e definitiva che cancella un patrimonio costruito con il lavoro di 4 e passa generazioni di italiani.

Parallelamente, come conseguenza di queste scelte e a seguito delle enormi ristrutturazioni che avverranno sul corpo dei beni pubblici, sarà ulteriormente attaccato il patrimonio privato delle famiglie: case e compagnia bella, già per altro abbondantemente a rischio.

C’è pochissimo tempo per tentare di opporsi a questo disegno che altrimenti conformerà il futuro delle prossime generazioni: al contrario di quanto sostiene l’anziano duce, bisogna tentare di far saltare il governo Letta e scomporre le deboli forze che lo sostengono. Non è operazione impossibile se i movimenti sociali  riprendono con convinzione il centro della scena.

1°      Bisogna essere coscienti e comunicare chiaramente alla gente che i nomi di queste grandi imprese (al di là della loro gestione spesso malsana attuata dalla politica) sono ciò che il lavoro italiano ha realizzato nel corso del ‘900.

2°     Che il debito deve essere immediatamente ricontrattato e ridotto facendo pagare gli speculatori e gli usurai e coloro che hanno contribuito a farlo crescere (evasione fiscale che possiede gran parte di questo debito) con una patrimoniale secca in grado di recuperare almeno la metà di quanto si sono appropriati negli ultimi 30 anni.

3°      Bisogna uscire dai parametri posticci elaborati in sede EU e dai diktat della Troika proprio per mettere sul lastrico interi paesi e invece rilanciare l’occupazione attraverso massicci investimenti pubblici.

4°     Bisogna predisporci ad un default controllato in grado di portarci dietro tutti coloro (singoli poteri e paesi) che intendono profittare dalla crisi italiana e del sud Europa. Non è mai stato così adeguato l’antico detto “muoia Sansone con tutti i Filistei”.



Se saremo in grado di far questo daremo un contributo storico non solo al nostro paese, ma anche all’Europa e al mondo.

FONTE

Bologna: 41 facchini licenziati, reintegrati dopo le proteste

sabato, Luglio 20th, 2013
La soluzione, ottenuta in seguito a numerose settimane di manifestazioni, prevede l’inserimento di 23 operai in diversi magazzini a tempo indeterminato. Entro il 30 settembre inoltre, le parti si incontreranno per studiare un percorso per il ricollocamento degli altri operai in cassa integrazione.




E’ fumata bianca per i 41 facchini licenziati dal consorzio SGB, protagonisti degli scioperi alla Centrale del Latte di Bologna. Dopo mesi di blocchi, proteste e trattative con i vertici dell’azienda, che in appalto gestisce i magazzini della Granarolo, si è trovato un accordo in grado di risolvere “le questioni più urgenti per i lavoratori migranti”, lasciati a casa “per aver manifestato”.
“Grazie ad un confronto telefonico con il Prefetto – racconta Aldo Milani, coordinatore nazionale del Si Cobas – siamo arrivati a una proposta che prevede l’inserimento di 23 operai in diversi magazzini a tempo indeterminato”, con una posizione contrattuale analoga a quella che avevano presso le cooperative per le quali lavoravano, Global Logic, Planet Log e Work Project, “superando quindi il periodo di prova previsto a inizio rapporto di lavoro”. Inoltre, continua Milani, “è stato formulato l’impegno a incontrarsi entro il 30 settembre per verificare un percorso per il ricollocamento degli altri operai ancora in cassa integrazione in deroga”. Ai facchini verrà riconosciuto il pagamento della retribuzione dalla data del licenziamento al reintegro con l’accesso alla cassa integrazione in deroga al 1° luglio e, “cosa estremamente importante, senza nessun accordo tombale sul pregresso, che riguarda somme che superano le 20.000 euro ad individuo”.

“Un bel risultato” commenta il sindacato di base, specie se si considera che “nel corso della prima trattativa in prefettura, il testo che ci era stato presentato dall’azienda e dai sindacati confederali si limitava ad accusare i lavoratori di disordini, stravolgendo la realtà dei fatti e imputando il loro licenziamento a una questione di ordine pubblico”. E se si tiene conto che i due mesi previsti dalla normativa per attivare la cassa integrazione successiva al licenziamento stavano ormai per scadere. Al quarto confronto in Prefettura, “la proposta che ci hanno presentato poneva l’accento sul fatto che si doveva arrivare ad accettare un patto tombale sul pregresso in cambio di 1.000 euro, 12 rientri in altri magazzini al di fuori della Granarolo e, soprattutto, che se non si accettava l’esito di tale “confronto” non si poteva accedere alla cassa integrazione, visto che mancavano pochi giorni alla scadenza dei termini previsti per attivare tale strumento. Siamo riusciti a ottenere condizioni migliori, ma visto il tempo limitato a disposizione abbiamo deciso di firmare”.

E sancire così il “lieto fine” nel quale 51 lavoratori – i 41 licenziati e i 10 messi in cassa integrazione “quando l’azienda si è accorda di non aver spedito loro le lettere di licenziamento” – manifestazione dopo manifestazione, non avevano mai smesso di sperare: qualcuno di loro, del resto, ha il permesso di soggiorno per vivere in Italia, e senza lavoro finirebbe per perderlo. La disoccupazione, quindi, non se la può permettere. Qualcun altro, poi, ha famiglia, bambini da mantenere, “da mandare a scuola”. L’accordo, a cui il prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia ha chiesto a tutte le parti interessate “di tenere fede”, è una boccata d’aria fresca. “Finalmente – sorridono i facchini nel ricevere la notizia – torneremo a lavorare”.

La battaglia dei lavoratori della logistica era iniziata qualche mese fa, quando i dipendenti di Global Logic, Planet Log e Work Project, cooperative della SGB, si erano trovati in busta paga una trattenuta del 35% dello stipendio, per “stato di crisi”. Una trattenuta approvata in assemblea dalla maggioranza dei lavoratori, ma da alcuni ritenuta “troppo cara” tanto che, subito dopo, erano iniziate le proteste. Ai blocchi davanti ai cancelli della Centrale del Latte di Bologna e agli scioperi portati avanti dai lavoratori, affiancati da Cobas e da Crash, a ritmi serrati, però, l’azienda aveva deciso di rispondere inviando le lettere di licenziamento. Alcuni facchini, a quel punto, dopo essersi scusati, erano stati successivamente reintegrati ma i 51 interessati dall’accordo avevano deciso di “non cedere”. Continuando, settimana dopo settimana, a protestare contro licenziamenti che il Cobas aveva definito “politici”, e anche contro il parere della commissione nazionale di garanzia sugli scioperi, che aveva equiparato le manifestazioni all’interruzione del pubblico servizio. “La nostra categoria lavora duramente, ci spacchiamo la schiena nei magazzini dove transita la merce che finisce nei supermercati, eppure siamo invisibili – racconta Abdel Ghani, ex dipendente della SGB, licenziato per aver scioperato – il padrone ha inventato una fantomatica crisi che però sui bilanci non c’è, mentre sulla busta paga si è tradotta in un meno 35% di stipendio. Circa 600 euro in meno ogni mese. E quando abbiamo alzato la testa prima siamo stati sospesi, poi cacciati. E pensare che Granarolo e Coop Adriatica sono due fiori all’occhiello della sinistra di questa città, storicamente rossa”.

E alla fine, la loro battaglia l’hanno vinta. Perché dopo una lunga trattativa tra azienda, sindacati e prefetto, infine, l’accordo è stato siglato e presto, tutti i facchini potranno tornare a lavorare. “Avremmo anche potuto continuare a lottare per ottenere l’immediato ricollocamento di tutti i lavoratori coinvolti, anche perché come si è dimostrato, è solo tramite la protesta che la situazione è in via di risoluzione – sottolinea Milani – ma se non avessimo firmato avremmo rischiato di non riuscire ad attivare la cassa integrazione. La nostra priorità, ora, sarà quella di trovare una soluzione per gli altri lavoratori”.

Contemporaneamente, poi, Cobas ha annunciato che avvierà una vertenza legale contro CTL per ottenere la “restituzione di quell’1,2 milioni di euro decurtati illegalmente dalle buste paga dei facchini”: “Il buco che motiva il taglio del 35% degli stipendi dei lavoratori della logistica è stato contratto dalle cooperative con le banche e non è giusto che a farne le spese siano i facchini, che già guadagnano stipendi bassi a fronte di turni da 12 ore al giorno. Per questo ieri abbiamo raccolto le firme dei lavoratori che ci hanno dato mandato e nei prossimi giorni invieremo il documento al giudice”. La vertenza, spiega Milani, “sarà contro CTL, l’azienda committente, perché è inutile attivarla contro tre cooperative in crisi che non pagheranno mai”.

di – Annalisa Dall’olio – 


FONTE: Il Fatto Quotidiano

India: 23 i bambini morti avvelenati, folla attacca polizia [VIDEO]

giovedì, Luglio 18th, 2013

La folla attacca un posto di polizia dopo la morte per avvelenamento di 23 bambini che avevano mangiato un pasto offerto da una mensa scolastica. Tre poliziotti e due contractor uccisi in un attacco della guerriglia maoista.


Avvelenati da un insetticida finito nei pasti della mensa della loro scuola: almeno 23 bambini sono morti intossicati nel giro di 24 ore, in un bilancio ancora provvisorio, dopo aver mangiato in una mensa scolastica dello stato del Bihar, nel nord-est dell’India, mentre un’altra trentina é ancora ricoverata in ospedale, fra cui alcuni in gravi condizioni. 

Una tragedia che a scatenato la rabbia di genitori e residenti, che sono scesi in piazza scagliandosi contro la polizia e distruggendone una postazione e alcune auto (nella foto). 


Le cause dell’intossicazione che ha colpito circa 50 allievi dai 4 ai 12 anni nel villaggio di Dharmasati Gandaman, nel distretto di Saran, sono ancora sconosciute. Ma si ipotizza che potrebbe essere stato un insetticida o un pesticida mescolato nel cibo. I bambini sono stati colpito da conati di vomito e forti convulsioni dopo il pranzo cucinato a scuola. Alcuni sono morti dopo atroci sofferenze prima di arrivare dall’ospedale. Un padre in lacrime ha raccontato a una tv privata che il figlio “é tornato a casa piangendo in preda a forti dolori allo stomaco”. I medici hanno somministrato un antidoto all’atropina, sostanza usata contro i veleni, ma per molti non c’é stato nulla da fare. La cuoca, ricoverata anch’essa con gli stessi sintomi di avvelenamento, ha detto ai giornalisti di aver sentito un “forte odore cattivo” nell’olio di senape usato per friggere. 
Il pasto, di riso e lenticchie, fa parte di un programma nazionale di assistenza alimentare chiamato “Mid-day Meal Scheme” e che ha l’obiettivo di combattere la malnutrizione che colpisce ben il 47% dei bambini indiani. La polizia ha aperto un’inchiesta per accertare le cause, mentre le autorità del Bihar, uno degli stati più poveri e arretrati dell’India, ha annunciato un risarcimento di 200 mila rupie (circa 2.500 euro) ai familiari. 
Ma il ministro dell’Istruzione P.K. Shahi insinua il complotto e il sospetto che l’avvelenamento dei bambini avesse lo scopo di gettare discredito sul governo locale. Ha poi affermato che il marito della direttrice della scuola “é vicino a un leader politico”. Subito dopo la tragedia alcuni partiti hanno inscenato manifestazioni di protesta contro il “chief minister” Nitish Kumar, un leader emergente nel panorama politico indiano, chiedendo la sua testa. Incidenti del genere sono abbastanza frequenti nelle scuole indiane a causa delle precarie condizioni igieniche delle cucine, di prodotto avariati e soprattutto della mancanza di controlli. Proprio ieri, nel distretto di Madhubani, sempre in Bihar, una cinquantina di scolari sono finiti all’ospedale con un forte mal di pancia dopo aver mangiato a scuola. E’ stato poi scoperto che nelle pentole del loro pasto gratuito c’erano delle lucertole morte.
Nel Bihar, invece, cinque poliziotti sono stati uccisi ieri dai guerriglieri maoisti nel corso di uno scontro a fuoco. Secondo l’agenzia di stampa Pti oltre 200 combattenti ‘naxaliti’ hanno lanciato un attacco contro un cantiere nel distretto di Aurangabad. Le vittime sono tre agenti di polizia e due ‘contractor’ privati di una società che sta costruendo un ponte sul fiume Belaru. I guerriglieri hanno anche piazzato delle cariche esplosive e le hanno fatte esplodere. 

VIDEO: [link#1 ] –  [link#2]
                

FONTE

IMPORTANTE! Mandiamo a casa Calderoli, firma anche tu la petizione

martedì, Luglio 16th, 2013

Vorrei attirare un’attimo la vostra attenzione e girarvi il link per firmare la petizione pubblicata su CHANGE.ORG, per mandare a casa il “ministro”(?) Calderoli.


Mancano poche firme 12.000 circa e il procedimento per farla vi ruberà solo pochi minuti.

E’ importantissimo che tutti firmiate. Qui sotto vi giro il testo della petizione che comunque compare anche sul sito e il link per potervi recare su CHANGE.ORG e firmare.
Ringrazio tutti anticipatamente. 

Le battute di Calderoli contro la ministra Kyenge (“sembra un orango”) sono la spia di una sub cultura razzista per troppo tempo accettata o derubricata a “eccessi verbali”. Nelle sue parole, come sempre, traspare l’odio per la ministra Kyenge, che ha il doppio torto di essere donna e di non avere la pelle bianca. Questa spirale va ora stroncata. Ci auguriamo che già alla prossima seduta del Senato sia posta la richiesta di far dimettere questo signore, quantomeno dalla carica di vicepresidente del Senato e che siano disertate le sedute da lui eventualmente presiedute.



PER FIRMARE LA PETIZIONE CLICCA QUI:  CHANGE.ORG  



redazione InfoLab0.1

Guantanàmo detenuti costretti all’alimentazione forzata [VIDEO]

lunedì, Luglio 15th, 2013

“Tutti i criminali dovranno essere trattati come pazienti e le prigioni diventare degli ospedali riservati al trattamento e alla cura di questo particolare tipo di ammalati”.

Mahatma Gandhi

         

Manifestanti contro la Detenzione Indefinita

L’ormai interminabile sciopero iniziato a Febbraio nel campo di prigionia di Guantanàmo ha come causa principale, delle perquisizioni, eseguite con una frequenza quasi persecutoria nelle quali alcune guardie avrebbero profanato (in questo caso distrutto) svariate copie del Corano con la scusa che potessero contenere oggetti di contrabbando, ben sapendo che nessun musulmano userebbe il “Libro Sacro” come contenitore.



Le perquisizioni però non sono l’unica causa, ci spiega James Wright, avvocato d’ufficio di uno dei detenuti, i problemi, tanti e terribili per la loro detenzione sono per esempio le celle ghiacciate, l’impossibilità d’accesso alle aree di ricreazione, l’impossibilità di alcuni detenuti di bere per 2/3 giorni acqua dalle bottiglie, quindi potabile, poiché quella presente nei rubinetti dei bagni non lo è; e per ultima ma non per questo meno importante è la frustrazione di una “DETENZIONE INDEFINITA”, che vuol dire essere incarcerati  senza che sia stata formalizzata un’accusa, in questo caso, incarcerati con il solo SOSPETTO di essere terroristi.


Ora nel carcere rimangono 160 detenuti dei quali 106 sono in sciopero e 41 di questi sono sottoposti all’ALIMENTAZIONE FORZATA, pratica indecente che viene denunciata a gran voce anche dal C.A.I.R. “Council on American-Islamic Relations” che attraverso un portavoce dichiara: “l’alimentazione forzata è sbagliata sempre, ma è particolarmente grave durante il Ramadan” – ed ancora – “Non si tratta nemmeno più di un problema religioso. E’ una questione di diritti umani, in aperta violazione delle norme internazionali e dell’etica medica”.
Anche un importante leader musulmano inglese, il dottor Azzam Tamimi, ha detto “è tempo che il presidente Obama prenda una decisione coraggiosa, che possa essere apprezzato nell’intero mondo islamico”.
Lo stesso Baràk Obama peraltro ad inizio mandato, si era impegnato affinché il “carcere della vergogna” così viene soprannominato, venisse chiuso, ma ottenne pessimi risultati (problemi di fondi).

Ora, grazie al rapper e attore Yasiin Bey (Mos Def) che si è prestato a testare su se stesso, assistito da medici e infermieri la procedura di alimentazione forzata a cui sono sottoposti 41 dei 106 detenuti scioperanti, rinchiusi nel campo di prigionia di Guantanàmo.

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. 

          Fëdor Dostoevskij, 1866





FONTE VIDEO: The Guardian