Morto Don Gallo, l’altra faccia della Chiesa: addio al prete degli ultimi e dei movimenti. +[VIDEO]

Maggio 22nd, 2013 by hacksolo404
Don Gallo insieme a Maurizio Landini

Sigaro, basco, voce roca. L’iconografia di un Che Guevara anziano con la tonaca.

Il sacerdote genovese ha speso la sua vita in rotta con le gerarchie ecclesiastiche. Nel 1970 fu il cardinale Siri a “licenziarlo” perché troppo di sinistra: da allora restò senza parrocchia, ma con tenti fedeli. Tra loro, Fabrizio De Andrè.

Mai restio a “sporcarsi le mani” in politica, ha sostenuto Doria e Vendola, mentre avrebbe visto bene Berlusconi “in Africa”. E a Grillo disse: “Non fare il padreterno”Mario Portanova | Il sigaro, il cappello, la voce roca, le sue verità rivoluzionarie. E’ morto a Genova Don Gallo (si chiamava Andrea, ma restava sempre sottinteso), da diversi giorni in condizioni di salute critiche.

Don Gallo lo guardavi, lo sentivi parlare, e non potevi fare a meno di pensare che strano corpaccione fosse la Chiesa cattolica italiana, capace di contenere lui insieme a Ruini, Scola, Andreotti, Comunione e liberazione… Prete, comunista, anarchico, no global, irriducibile dei “movimenti”, sempre dalla parte degli “ultimi”. La copertina di uno dei suoi tanti libri (“Non uccidete il futuro dei giovani”) lo ritrae in campo rosso con il basco, il pugno alzato, la bandiera della pace: un Che Guevara anziano e con la tonaca. Al G8 di Genova, nel 2001, si spese moltissimo. Incontrò Manu Chao per organizzare il concerto del musicista-icona dell’epoca, vide l’attacco immotivato dei carabinieri al corteo dei Disobbedienti di Casarini: “Una vera imboscata”, dirà a caldo pochi giorni dopo, e “Carlo muore”.

Don Gallo saluta!

Anche lui, di fronte alla “caccia all’uomo” in piazza e “al vergognoso termine della Diaz”, prova in quei giorni lo spiazzamento di chi ha “tutt’ora tanti amici nelle forze dell’ordine”. Don Andrea Gallo era nato a Genova l’8 luglio del 1928. Furono i Salesiani di don Bosco, i preti che stavano coi ragazzi, ad accendere la sua vocazione precoce. Ma con le gerarchie ecclesiastiche i rapporti non furono mai facili.
Tanti gli incarichi di frontiera – riformatorio, carcere – tanti gli stop e i trasferimenti forzati. Tra i suoi primi avversari Giuseppe Siri, storico cardinale di Genova. Siri, si ricorda nella
biografia ufficiale di don Gallo sul sito della Comunità di San Benedetto al Porto, era preoccupato per le sue predicazioni, per tutti quei discorsi che “non erano religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti”. Nel 1970, quando davanti agli altari di molte chiese italiane il cristianesimo sposava pericolosamente i fermenti dell’estrema sinistra, fu “licenziato” dalla parrocchia del Carmine a Genova, perché alla Curia non piacque affatto il suo paragone tra i danni della droga e quelli determinati da disuguaglianze e guerre.

Da quel momento don Gallo resta un prete senza parrocchia, ma con tanti fedeli. Uno di questi è Fabrizio De Andrè, che gli diceva: “Ti sono amico perché sei un prete che non mi vuol mandare in Paradiso per forza”. Pochi anni dopo, dall’incontro con don Federico Rebora, nasce la comunità di San Benedetto al Porto, che accoglie tossicodipendenti, alcolisti, malati psichici… La bella trattoria della comunità, “‘A lanterna”, di fronte al mare, è sempre stata aperta a ospiti e agitatori di passaggio in città.

                                                                                                       

FONTE: “Il Fatto Quotidiano” per l’articolo, Il video YouTube: canale di “sergiogibbe“.

Roma, sabato 18 maggio 2013, Manifestazione Nazionale.

Maggio 17th, 2013 by hacksolo404



BASTA NON POSSIAMO PIU’ ASPETTARE!

Diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza  per la giustizia sociale e la democrazia.

Sabato 18 maggio i metalmeccanici si mobilitano e scendono in piazza a roma perché cinque anni fa con il governo Berlusconi ci avevano detto che la crisi non c’era, era passeggera, addirittura superata. negli ultimi due anni col governo monti, visto che la crisi non si poteva più negare, si è passati a un uso della crisi per legittimare le politiche di austerità in tutta europa.la scelta di non intervenire sulle cause ha determinato che il 10% della popolazione ha il 50% della ricchezza: i responsabili hanno quindi continuato ad aumentare le proprie rendite. inoltre le banche hanno ridotto il credito e investito in titoli spazzatura e la confindustria ha puntato sulla cancellazione dei diritti e la riduzione del salario. Risultato?

Hanno cancellato l’articolo 18, derogato ai contratti e alle leggi, tagliato la spesa sociale, chiuso ospedali e per 9 milioni di persone non è più garantito il diritto alla salute, chiuso scuole e università, posticipate e ridotte le pensioni. Hanno addirittura provato a generare una guerra tra inoccupati, disoccupati e precari, giovani e non, donne e uomini.l’italia continua a essere il paese con la massima evasione fiscale e la minore tassazione delle rendite finanziarie mentre attraverso le politiche fiscali hanno continuato a spremere pensionati e lavoratori dipendenti. i risultati di questa scelta sono: licenziamenti, aumento delle disuguaglianze sociali, impoverimento e inaccessibilità al lavoro. Questa condizione di solitudine ha addirittura portato persone a togliersi la vita.

E’il momento di cambiare il 18, a roma, manifestiamo per:- riconquistare il diritto del e nel lavoro – la riconversione ecologica del nostro sistema industriale per valorizzare i beni comuni acqua, aria e terra – un piano straordinario d’investimenti pubblici e privati e il blocco dei licenziamenti anche attraverso l’incentivazione della riduzione dell’orario con i contratti di solidarietà e l’estensione della cassa integrazione – un contratto nazionale che tuteli i diritti di tutte le forme di lavoro con una legge sulla democrazia che faccia sempre votare e decidere i lavoratori – un reddito per una piena cittadinanza di inoccupati, disoccupati e studenti – fare in modo che la scuola, l’università e la sanità siano pubbliche e per tutti – combattere le mafie e la criminalità organizzata che si sono infiltrate sia nella finanza che nell’economia – la rivalutazione delle pensioni e per un sistema pensionistico che riconosca la diversità tra i lavori – un’europa fondata sui diritti sociali e contrattuali, su un sistema fiscale condiviso e sul diritto di cittadinanza e sulla democrazia delle istituzioni.
Per queste ragioni ci rivolgiamo a tutte le donne, gli  uomini, i giovani, i precari, i disoccupati, i migranti, i pensionati, perché noi operaie, operai, impiegate e impiegati metalmeccanici, come voi, vogliamo una democrazia che ci permetta di partecipare e decidere del nostro futuro.





DOMANI TUTTI IN PIAZZA!!!








FONTE: contenuto del volantino FIOM in rif. alla manifestazione del 18 maggio 2013

Bangladesh, oltre 1000 vittime del lavoro disumano.

Maggio 16th, 2013 by hacksolo404

Con 1.127 morti accertati quello avvenuto il 24 aprile scorso in una fabbrica a Rana Plaza, nella regione di Dhaka in Bangladesh, è il bilancio più drammatico al mondo per un incidente legato al lavoro dal disastro di Bhopal, avvenuto in India nel 1984.

Oggi i soccorritori chiudono le operazioni di ricerca delle vittime del crollo del fatiscente edificio che era costituito da otto piani, quasi tutti occupati da piccole aziende tessili con oltre 3000 operai e soprattutto operaie tessili.

La tragedia avvenuta il mese scorso ha portato alla luce le gravi condizioni in cui lavorano gli addetti del settore in un Paese dove vi sono oltre 4.000 fabbriche che producono vestiti per i grandi marchi occidentali e che occupano più di 3 milioni di persone, il 90% donne, in condizioni di lavoro spesso disumane.

Due giorni fa, il ministro dell’Industria Tessile del Bangladesh, Abdul Latif Siddique, ha annunciato la creazione di una commissione, formata da sindacalisti e imprenditori, con l’obiettivo di aumentare il salario minimo degli operai. In Bangladesh un lavoratore guadagna in media meno di 40 dollari al mese.

La commissione esaminerà le attuali norme che regolano i contratti – per lo più inesistenti – e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Il governo del Bangladesh ha inoltre dato il permesso ai lavoratori tessili di formare sindacati anche “senza il permesso” dei padroni.

Intanto, in seguito agli scioperi e alle proteste dei lavoratori per i bassi standard di sicurezza e i salari troppo miseri, oltre trecento fabbriche hanno chiuso i battenti nel distretto industriale della capitale Dhaka.

Il Premio Nobel per la pace Muhammad Yunus ha definito “senza senso” la decisione di alcune aziende straniere di “lasciare un Paese che ha avuto grandi benefici dalle loro attività”, invitandole piuttosto a fissare un salario minimo comune per gli operai del settore.
“Questo potrebbe aggirarsi attorno ai 50 centesimi l’ora, due volte il salario medio oggi in Bangladesh – ha sottolineato Yunus – un salario minimo di questa entità potrebbe far parte integrante di una piano di riforma complessivo del settore, che aiuterebbe a scongiurare tragedie come quella del mese scorso”.

Yunus ha quindi lanciato un appello ai consumatori e alle imprese occidentali perchè sostengano la riforma del settore tessile del Bangladesh. L’inventore del microcredito, in un intervento pubblicato sul britannico Guardian, ha sottolineato l’urgenza di migliorare le condizioni di lavoro di circa 4 milioni di lavoratori del suo Paese e di salvare vite umane.

Più di un milione di persone intanto hanno già firmato le petizioni che chiedono ai marchi che si riforniscono in Bangladesh di sottoscrivere il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement immediatamente.

Il “Bangladesh Fire and Building Safety Agreement – spiega un comunicato della Campagna Abiti Puliti che invita a firmare la petizione – comprende ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza. È un’operazione di fondamentale trasparenza che deve essere sostenuta da tutti gli attori principali bengalesi e internazionali”.


I lavoratori hanno bisogno di soluzioni strutturali per mettere fine a queste condizioni di lavoro insicure. La firma del Bangladesh Fire and Building Safety Agreement e la collaborazione con i sindacati bengalesi sono i primi passi essenziali.

FONTE

Belgio, video choc: POLIZIA PESTA A MORTE UN DETENUTO. [VIDEO]

Maggio 15th, 2013 by hacksolo404
Jonathan Jacob

Questa è la terrificante storia di Jonathan Jacob, 26 anni.

06/01/2010  – Mortsel, provincia di Anversa, Belgio.

La sera del 6 gennaio 2010 Jonathan Jacob viene fermato dalla polizia locale perché sotto effetto di anfetamine.

Al momento del fermo è palesemente scosso e molto agitato.
Per questo motivo gli agenti decidono di sottoporlo ad una visita medica.
Il dottore che lo visita, visto l’atteggiamento irrequieto stila il referto raccomandando l’ammissione in un’ospedale psichiatrico.

N.B. Il direttore dell’ospedale locale rifiuterà l’internamento per ben due volte poiché a suo parere non idoneo.

A questo punto viene riportato in cella e spogliato completamente.

Jonathan è visibilmente scosso,piange ed è impaurito, urla, chiede aiuto disperatamente.
Gli agenti, non sanno
come gestire la situazione e richiedono l’intervento della “Squadra di Assistenza Speciale” della polizia di Anversa.

Da questo punto in poi la storia la possiamo vedere nelle scioccanti immagini delle telecamere di sicurezza installate nella cella.
La “Squadra di Assistenza Speciale” lancia nella cella un razzo, e tempo una manciata di secondi gli sono addosso.

OTTO agenti sono sopra Jonathan.
Talmente violente e brutali sono le percosse che dal referto dell’autopsia si scopre che la morte è dovuta ad un’emorragia interna, il medico dichiarerà in un secondo momento “aveva il fegato diviso in due, ed una delle principali arterie nel suo stomaco era rotta, spezzata”.

La cosa ancor più scandalosa di questa storia è che questo video è stato reso pubblico dalla tv Belga solamente in questi giorni; nel frattempo 3 anni sono passati e chissà, magari gli stessi agenti colpevoli di questo OMICIDIO girano indisturbati per le strade del Belgio.

Ora io mi chiedo chi sono i veri criminali in questa storia?
Un povero ragazzo di 26 anni colpevole di aver assunto anfetamine, o degli ASSASSINI travestiti da poliziotti?

…è proprio vero che la ferocia e la vergogna dell’uomo non conosce limiti.

[VIDEO]


E’ morto Luciano Lutring, “il solista del mitra”.

Maggio 13th, 2013 by hacksolo404
Il solista del mitra: Luciano Lutring

Luciano Lutring, il “solista del mitra” come veniva chiamato, è morto stanotte. E’ stato un bandito, e poi un pittore italiano. La sua biografia è stata anche il soggetto di un libro di Andrea Villani: il soprannome gli viene per la sua usanza di nascondere il fucile mitragliatore nella custodia di un violino. Con l’arma effettua rapine tra gli anni Cinquanta e Sessante in Italia e in francia, tanto da diventare il pericolo pubblico numero uno nel suo paese. La figura di Lutring diviene leggendaria assieme al suo stile di vita grandi alberghi, fuoriserie, belle donne. 

LUCIANO LUTRING E’ MORTO – Scrive Wikipedia:

La sua attitudine da ladro gentiluomo, unita alle celebri frasi in dialetto milanese pronunciate sui luoghi dei misfatti, contribuisce a rendere Lutring un personaggio popolare.
Il 1 settembre 1965 viene infine ferito ed arrestato a Parigi; sconta 12 anni di carcere (la condanna iniziale era a 22 anni) in Francia, durante i quali inizia a scrivere e dipingere; tiene persino una corrispondenza con l’allora Presidente della Camera Sandro Pertini.

In Francia pubblica “Lo Zingaro”, la sua autobiografia, dalla quale sarà liberamente tratto un film, nel quale Lutring viene interpretato da Alain Delon. Nel 1966, con la regia di Carlo Lizzani, esce un film basato sulla sua storia, dal titolo “Svegliati e uccidi”, interpretato da Robert Hoffmann, Lisa Gastoni e Gian Maria Volonté.

Graziato dal Presidente della Repubblica Francese Georges Pompidou, torna in patria, dove, dopo un periodo di internamento presso il carcere di Brescia, viene nuovamente graziato nel 1977 dal Presidente italiano Giovanni Leone.


La presentazione del romanzo di Villani a lui dedicato:

La sua storia viene riraccontata nei dettagli fin da quando nel 1956 i suoi genitori avevano in gestione a Milano un bar e lui si divertiva a girare a bordo di un’appariscente Cadillac e teneva infilata nei pantaloni una pistola Smith & Wesson scarica. Appena ventenne
amava bighellonare a bordo della sua auto (dove talora celava i residui di furti di polli e conigli) per far colpo sulle ragazze, piuttosto che dedicarsi agli studi musicali che avevano sognato i suoi genitori regalandogli prima una fisarmonica e poi un violino . Casuale fu il suo debutto nel mondo del crimine: un giorno la zia Vittoria lo spedì a pagare una bolletta della luce alle poste. Ma l’impiegato era lento e distratto, tanto che Luciano Lutring si sentì in dovere di richiamarlo con uno spazientito “Allora?”. L’uomo, alzando lo sguardo dal bancone, vide la pistola che il giovanotto, con impermeabile e cappello calato sugli occhi, teneva infilata nei calzoni e spaventato gli consegnò tutte le mazzette di denaro che aveva in cassa. Lutring “pensò per una frazione di secondi a quello che sarebbe stato lecito fare. Quindi a ciò che avrebbe preferito fare”. E così si infilò i soldi nelle tasche dando una svolta definitiva alla sua vita. 
“Luciano Lutring – La vera storia del solista del mitra” è un romanzo che racconta come “nessun uomo nasca con l’etichetta criminale… ma che a volte le contingenze potrebbero spingere chiunque nel baratro”. E rievoca le vicende di un uomo capace di attuare rapine con i bossoli che faceva esplodere sotto le scarpe puntando la pistola sempre rigorosamente in alto, ne ricorda i travestimenti, le spaccate con l’auto per procurare vistose pellicce a modelle di cui si era innamorato, i favolosi colpi effettuati con il mitra nascosto nella custodia del violino. Andrea Villani scandisce la vita spericolata di Lutring attraverso i racconti che lo stesso ex criminale gli ha fatto “tra una cena e l’altra, tra un sigaro e una grappa”. Una storia piena di scene drammatiche ma anche di aneddoti estremamente divertenti che apre e si chiude con l’immagine dell’ultima volta che Lutring è stato arrestato dalla polizia: quando la vigilia di Natale del 2007 gli agenti gli sequestrarono lamacchina perché aveva la patente scaduta. Lutring si addormentò su una panchina del commissariato in attesa che le sue figlie gemelle lo riportassero a casa. Dormì sonni tranquilli, lui che i suoi conti con la giustizia li ha per sempre pagati dopo essere stato graziato sia dal presidente francese Georges Pompidou che da quello italiano Giovanni Leone.

FONTE

La maschera di Anonymous è “capitalista”, il copyright è di una multinazionale

Maggio 12th, 2013 by hacksolo404
la maschera di Guy Fawkes

La maschera di Guy Fawkes, utilizzata per le proteste di massa contro il capitalismo, è di proprietà delle multinazionali. Lo ha rivelato Nick Bilton per il New York Times.

“Offiremo loro un 5 novembre che non sarà mai più dimenticato!”. Così recitava V, interpretato da Hugo Weaving, nel cult V for Vendetta, tratto dal fumetto di Alan Moore e David Lloyd. 

Da sempre simbolo dell’anticapitalismo e della lotta contro gli oppressori, la maschera di V (che ha il volto di Guy Fawkes, l’attivista politico che fu giustiziato per aver tentato di assassinare il Re Giacomo I d’Inghilterra), presa in prestito anche dal movimento Anonymous, è tra le più vendute al mondo, dagli store tradizionali a quelli digitali. 
La maschera viene utilizzata anche per le proteste di massa, come quelle del movimento Occupy a cavallo tra il 2010 ed il 2011, ma vi sorprenderà scoprire che i diritti dalla vendita di questo simbolo dell’equità, vanno a finire dritti dritti nelle casse di tre multinazionali. A rivelarlo è Nick Bilton per il New York Times, che spiega come nel grattacielo della Time Warner, siano felici di contare ricavi per oltre 28 miliardi di dollari di fatturato, visto che la società è proprietaria della Warner Brothers, incassando da tutto il merchandise delle sue produzioni, V for Vendetta compreso.

La maschera arrichisce anche la Rubie’s e Amazon. Ci sono altre due società che, da questo grande mercato “di protesta”, riescono a fare ottimi affari, sono una multinazionale “a carattere familiare” (ma con più di 3000 dipendenti in 14 paesi) ed un’azienda della new economy: la Rubie’s e Amazon. La prima produce oggettistica per Halloween e feste in maschera, detenendo oltre 150 licenze per produrre i costumi dei film, tra questi c’è anche quello di Guy Fawkes. Quanto ad Amazon, la maschera di “V” è stata tra le più vendute del 2010 e del 2011 e, nonostante un calo nel 2012, resta tra gli oggetti carnevaleschi più venduti. E così che le proteste contro Wall Street, contro Scientology, contro i cattivi governi, ma anche semplici idee d’avantgarde per passare un Halloween, o un Carnevale diverso, fanno a rimpinguare le casse dei “nemici” capitalisti. Meditate gente, meditate.

FONTE

Non paghi le tasse? In Grecia finisci in galera, ma non vale per la casta.

Maggio 12th, 2013 by hacksolo404
Per tentare di rimediare alle mancate entrate per l’erario che al momento ammontano a due miliardi di euro, Atene propone la reclusione in speciali carceri destinati solo ai reati finanziari. Inizialmente la misura era prevista dai 5.000 euro di tasse non pagate in su, ma il limite potrebbe scendere a mille


Chi ha debiti con lo Stato rischia il carcere. La Grecia dei tre memorandum, che non chiudono la voragine dei conti scandalo è anche questo, con un disegno di legge in attesa di essere vagliato dal parlamento su cui si sta scatenando un alveare di polemiche. Dal momento che ancora una volta salva la casta che lo propone. Secondo quanto riferito in un’audizione in Commissione Giustizia dal sottosegretario Kostas Karagounis, il governo per tentare di rimediare alle mancate entrate per l’erario che al momento ammontano a due miliardi di euro, propone la reclusione in speciali carceri destinati solo ai reati finanziari. Mentre in un primo momento la misura era prevista dai 5.000 euro di tasse non pagate in su, alcune fonti giornalistiche sostengono che il limite potrebbe scendere a mille.

Ma non è tutto. Perché il dilemma del sovraffollamento delle carceri non è solo italiano, bensì anche greco, con strutture fatiscenti e piene zeppe di detenuti per il 60% stranieri. Per questo il ministro della giustizia Rupakiotis avrebbe individuato dei siti alternativi, come le caserme militari, dove ospitare coloro che hanno debiti con lo Stato. E al contempo ha chiesto al suo parigrado albanese di poter trasferire i numerosissimi detenuti albanesi presenti nelle strutture elleniche direttamente nei penitenziari del paese delle Aquile. Un doppio corto circuito, istituzionale e ministeriale, che sta facendo imbufalire un Paese a un passo dalla crisi di nervi. Che i tre memorandum della troika ha messo in ginocchio, mentre la casta politica, dove abbondano indagati e parlamentari coinvolti in scandali di media ma anche di grossa taglia come il caso Siemens o la lista Lagarde, gode di una singolare immunità. Che vincola il giudizio di un tribunale sugli stessi ad una commissione parlamentare che ne autorizzi il processo, ma che deve esprimersi anche più di una volta in caso di nuove elezioni, così come accaduto lo scorso anno nel Paese. Con tempi che si allungano e prescrizioni che vanno in soccorso di deputati e ministri.

Nell’ultimo trimestre sono stati quasi cinquecento i cittadini greci che hanno varcato le porte di un carcere per debiti con l’erario. Dal momento che in questo biennio di crisi l’economia si è fermata e i circuiti commerciali interrotti, con aziende chiuse, imprenditori e lavoratori che si sono tolti la vita, sono numerosissimi i greci che non sono materialmente riusciti a pagare i famigerati karatzi, ovvero l’Imu sugli immobili che lo Stato ha inserito come voce nella bolletta della luce. E che ha causato il taglio per i morosi che sono stati costretti addirittura a far ricorso alle candele. La domanda, a questo punto, è perché il governo scelga un percorso simile, quando in realtà, se si andasse a pescare nelle sacche degli scandali ci si potrebbe anche guadagnare.In questi giorni infatti nel paese si sta celebrando il maxiprocesso ad uno degli uomini più influenti della storia recente: Akis Tzogatzopulos, ministro della Difesa negli anni novanta ma soprattutto grande ombra dietro le quinte del premier Andreas Papandreou, padre-padrone della politica greca. É accusato di aver costruito una rete di società off-shore per gestire almeno 160 milioni di euro di fondi neri e frutto di tangenti, specificatamente per aver acquistato ingenti quantitativi di armamenti, tra cui sommergibili tedeschi e sistemi missilistici russi. Un nome, quello di Tzogaztopulos in carcere dallo scorso maggio, che sta facendo tremare i palazzi del potere in Grecia, anche perché in un’udienza ha annunciato di voler chiamare come testimoni gli ex premier socialisti Simitis (che curò il passaggio del paese dalla dracma all’euro) e Papandreou su cui incombono i riverberi della commissione di inchiesta sulla lista Lagarde, l’elenco degli illustri evasori. In cui in un’intercettazione telefonica agli atti si fa il nome di sua madre Margareth come titolare della cifra monstre di 500 milioni di dollari.

Tra l’altro molti sono i giudici greci che considerano la misura di detenzione proposta dall’esecutivo incostituzionale, come fatto in un sentenza dal sostituto procuratore di Salonicco, Vasilis Adampas, perché incide sugli articoli 2, 6 e 25 della Costituzione che si riferiscono la protezione della dignità umana. “Il legislatore ha introdotto una non convincente regolamentazione”, ha dichiarato. Le detenzioni per i reati finanziari oggi contano nel Paese 4500 individui, su un totale di circa 13.000. Provocando sdegno tra cittadini e commentatori, dal momento che a fronte di tale inasprimento non sono mancati i pubblici ministeri che negli ultimi anni hanno manifestato atteggiamenti di clemenza nei confronti di reati più gravi. Infatti l’Associazione dei procuratori greci ha scatenato un duro attacco contro il ministro Roupakiotis che ha parlato di “giudici attivisti”, sostenendo che tali espressioni infelici inducono in errore il pubblico e minano la fiducia per la giustizia, in quanto suggeriscono che le decisioni giudiziarie sono spesso il prodotto di un’arbitrarietà fuori dalla legge.



FONTE

Caso Aldrovandi, in piazza a Roma contro la sentenza: poliziotti contestati in piazza dopo la sentenza.

Maggio 8th, 2013 by hacksolo404
L’ennesima “manifestazione vergogna”.
Ieri mattina davanti al Consiglio Superiore della Magistratura si sono presentati, da una parte, con l’ennesima manifestazione vergognosa, inutile e assolutamente idiota i sindacati di polizia del COISP, lamentandosi del fatto che “da decenni vengono concessi gli arresti domiciliari e le pene alternative a tutti i cittadini, tranne ai poliziotti”.*N.d.R

Nello specifico il sindacato indipendente di polizia contesta il fatto che a due dei quattro agenti condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione per l’omicidio del giovane Federico Aldrovandi non sono stati concessi gli arresti domiciliari (e ci mancherebbe!!!). 

Una protesta che da più parti e alla luce di quanto accaduto a Ferrara (con il questore trasferito per aver autorizzato quella protesta), è stata vista come una “ennesima provocazione” (Nichi Vendola, Sel) e “una vergogna” (Paolo Ferrero, Prc)
Dall’altra gli esponenti del “Comitato Verità per Federico Aldrovandi” che, mostrando lo striscione con la foto di Federico massacrato dagli agenti  chiedono che i poliziotti condannati non rientrino giustamente in servizio. 
Ma soprattutto, lanciano un chiarissimo messaggio, “ovunque saranno loro ci saremo anche noi con l’immagine del volto di Federico”.

Soprattutto sono le parole di Patrizia Moretti a riecheggiare nell’ennesima giornata che non fa bene a nessuno e che ancora una volta mette in luce per quello che realmente è il corpo di Polizia: “Non mi interessa e non commento la manifestazione del Coisp: hanno già avuto tutte le risposte istituzionali possibili, e anche quelle degli altri sindacati di polizia che su questa vicenda si sono schierati tutti contro di loro. Non hanno il diritto di parlare di Federico, si vergognino per l’ennesima volta”.
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N.d.R.*Ecco su quest’ultima dichiarazione vorrei soffermarmi un’attimo:
1°: La situazione carceri in Italia è a dir poco DRAMMATICA, perciò questa è una      grandissima CAZZATA!!!
2°: Signori agenti di polizia forse vi siete scordati che il vostro mestiere è quello di: pattugliare le strade, difendere la popolazione dalla criminalità ecc…NON QUELLO DI FARE I “GIUSTIZIERI” DELLA NOTTE PICCHIANDO ED UCCIDENDO PERSONE UN PO’ DOVE CAPITA!!!
Il fatto di portare un distintivo e pistola non DEVE garantire nessuno sconto di pena, anzi l’esatto opposto.

Abbiate VERGOGNA e portate RISPETTO per quelle famiglie a cui avete tolto praticamente tutto. 
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Lucia Uva: Come è morto mio fratello Giuseppe Uva?

Aprile 23rd, 2013 by hacksolo404
Giuseppe Uva

Chi segue il mio blog sa che in passato mi sono già occupato di questa storia in più articoli, e per questo voglio condividere con voi questa petizione lanciata proprio da Lucia Uva, che ha lo scopo di chiedere che il caso sulla morte di Giuseppe venga assegnato ad un’altro P.M. che sia seriamente intenzionato a cercare la VERITA’ e fare così GIUSTIZIA. Anche perché paradossalmente ad oggi l’unica indagata dall’attuale P.M. è Lucia. 

Questo è il link diretto dal quale potrete firmare anche voi la petizione: Come è morto mio fratello #Giuseppe Uva? 

…e questo è quello che ha scritto Lucia:

Cinque anni fa mio fratello moriva a soli 43 anni, dopo essere stato fermato e trattenuto nella caserma dei carabinieri di Varese.

Nessuna indagine é stata conclusa su quanto accaduto quella maledetta notte, nessuna risposta mi è stata data sulla morte di Giuseppe, che ho visto all’obitorio con un pannolone e 78 macchie di sangue sul cavallo dei pantaloni. E a breve il processo andrà in prescrizione.

Chiedo che prima che questo succeda venga sentito il testimone di quella notte; io credo che mio fratello sia morto per pestaggio. Non è stato ascoltato infatti Alberto Biggiogero condotto in caserma insieme a mio fratello, il quale ha sempre raccontato di aver sentito le grida atroci di Giuseppe provenire dalla stanza dove era stato rinchiuso, tanto da chiamare dalla stessa caserma il 118 per chiedere un intervento.
Non mi sembra di chiedere la luna, voglio solo sapere cosa è successo a mio fratello.
Finora l’unico procedimento avviato è su di me, che presa dalla disperazione ho insultato su Facebook i due carabinieri e i sei poliziotti che al telefono ridevano di mio fratello, quella maledetta notte.

L’altro ieri c’è stato il secondo atto giudiziario in tribunale: un medico è stato assolto dall’accusa di aver somministrato dosi eccessive di ansiolitici e calmanti, un altro è stato prosciolto prima ancora che si arrivasse al rinvio a giudizio, mentre un terzo era già stato assolto dopo un processo davanti al tribunale monocratico.

Chiedo che l’indagine venga assegnata ad un altro pubblico ministero che voglia davvero cercare la verità e la giustizia.

Per favore non lasciatemi sola, voglio sapere come è morto mio fratello.

Il cambiamento

Aprile 21st, 2013 by hacksolo404
Giorgio Napolitano

Ci sono voluti quasi due mesi, dopo le elezioni di febbraio, per condurre l’Italia al punto d’incontro con il secondo golpe, promesso da Napolitano e da Monti a tutti i poteri forti internazionali alla vigilia della campagna elettorale.
In molti si supponeva che saremmo giunti al nuovo colpo di stato, attraverso le ire dei mercati ed il progredire dello spread, invece la strada scelta è stata di tutt’altra natura. Bersani e Berlusconi hanno di fatto menato per il naso gli italiani che li hanno votati, attraverso due mesi di teatrino tanto folkloristico e disordinato, quanto mirato ad ottenere l’effetto voluto. Il primo ostinandosi fintamente ad inseguire l’appoggio di Beppe Grillo, pur sapendo bene che mancava qualsiasi spazio per ottenerlo. Il secondo cavalcando l’affondamento dell’Italia (quasi le colpe del disastro fossero di un evento tellurico) ed inseguendo Bersani, fingendo di volerlo abbracciare stretto.
PD e PDL hanno passato il tempo cianciando di cambiamento e chiamando i propri elettori a manifestazioni farsa, fino ad arrivare al momento dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica…..

Giunti al punto concordato, Bersani, pur avendo la possibilità di fare eleggere fin dalla prima votazione un uomo del suo partito, nella persona di Stefano Rodotà, proposto molto generosamente da Beppe Grillo, unitamente alla promessa di quell’apertura in chiave nuovo governo a lungo (fintamente) agognata, ha detto di NO, preferendo proporre Marini con il gradimento di Berlusconi. Giunto alla quarta votazione, quando Marini avrebbe avuto i voti per venire eletto, essendo scesa la soglia, ha detto di NO anche a Marini, preferendo riesumare il cadavere politico di Romano Prodi, uno dei pochi uomini invisi a Berlusconi e pertanto destinabile a venire bruciato, mancando l’appoggio del PDL e del partito di Monti.
A questo punto i giochi erano fatti, per giustificare l’avvento del golpe. Tutti i partiti (a parte Grillo ovviamente) in fila alla corte di Giorgio Napolitano, per incoronarlo alla guida del secondo colpo di stato, così come imponevano i dettami della troika e dell’amministrazione Obama.
Basta dissidi, basta veti incrociati, basta franchi tiratori, basta distinguo, basta presidi a comando davanti a Montecitorio, basta polemiche. Tutti uniti, felici e soddisfatti, nel nome del nuovo che avanza e garantirà all’Italia un futuro prospero, sulla falsariga di quanto sperimentato negli ultimi anni.
Molto (ma proprio molto) presto anche la formazione del nuovo governo non sarà più un problema. Nessuno parlerà più di elezioni, nessuno si sentirà in difetto ad abbracciare il proprio avversario politico, nessuno si sognerà di creare problemi. Napolitano nominerà Giuliano Amato alla guida di un nuovo governo delle banche, sulla falsariga di quello guidato da Monti e tutto sarà pronto per le nuove tasse, i nuovi licenziamenti, i nuovi suicidi ed il nuovo crollo del paese.
Il cambiamento arriva a grandi passi, attenti a non rimanere disorientati. E Beppe Grillo? Fino all’ultima votazione il movimento 5 stelle ha continuato a sostenere il nome (condivisibile o meno) di Stefano Rodotà, ma a detta della vulgata si tratterebbe di un partito incoerente, inesperto e privo di senso di responsabilità. 
Buona parte della colpa di quanto accaduto verrà attribuita a lui. Voleva il cambiamento e ora che Napolitano viene ad incarnarlo non si sente in dovere di appoggiarlo? Vergogna!

FONTE: Marco Cedolin (il Corrosivo)